Fare due lavori a Roma, uno di giorno e uno la sera. Non sono il primo, non sarò l’ultimo a dover cercare di sbarcare il lunario in qualche modo, in un paese in cui la politica blatera di fannulloni e non riesce a formare i governi.
Mai come in questo momento ho sentito la classe dirigente come lontana dalla mia realtà di pendolare, perché fare due lavori a Roma e non poter contare su un mezzo proprio significa, di fatto, lavorare in due città diverse. Ed è già difficile in inverno.
Ma, mi ero detto, con l’arrivo della primavera tutto sarà più semplice. Ma siccome piove (governo ladro), e siccome il romano non appena sente l’accenno di due gocce tira fuori il Suv, il tragitto tra lavoro 1 e lavoro 2 si costella di buche allagate, traffico impazzito e, la novità del mese, autobus che esplodono.
D’altronde è Roma, la città eterna che di eterno ha solo la sua sconfinata disorganizzazione. La vedono i milioni di turisti spaesati che annaspano tra le pozzanghere mentre rischiano di essere arrotati da un autobus che manca la fermata perché nessuno ha prenotato; la vivono quelli come me che ogni giorno, cuffie nelle orecchie, cercano di sopravvivere ai sussulti delle strade del centro città, perché una corsia per gli autobus è fantascienza (per le biciclette nemmeno prendiamo l’argomento).
La governano, infine, i grandi capi, quelli che si scaricano la responsabilità a vicenda (è colpa della Raggi, dell’Atac, di Berlusconi, di Renzi, delle scie chimiche) e che, davvero, non hanno idea. Non hanno idea di cosa significhi passare ogni mattina, col bello e col cattivo tempo, schiacciati contro un vetro di un autobus o di una metro, mentre lotti per respirare e mantenere l’equilibrio, non sanno niente di corse deviate, ritardi inammissibili, spostamenti programmati almeno 2-3 ore prima per muoversi all’interno del Raccordo.
Non sanno niente perché questa città non la amano. Dicono di amarla, di venerarla, sbandierano la loro devozione per Roma Capitale ma sono tutte pose, stati su Facebook e Twitter, dichiarazioni scollate dalla realtà delle strade.
Nessuno che abbia, per esempio, ringraziato in ginocchio l’autista del bus esploso in Via del Tritone, che ha evitato la più ridicola delle tragedie. Nessuno che colga l’abissale vergogna di quanto successo, se non qualche ‘meme’ su internet, perché l’unica arma che ci è rimasta è l’ironia spietata e amara di chi non si aspetta davvero più nulla e adesso, alle tante bestemmie delle mattine trascorse a inseguire i mezzi, deve aggiungere una preghiera: buon dio, fa che almeno questo non salti per aria.
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