Non si tratta di razzismo ma Una mamma nomade cui i giudici hanno tolto i figli, dichiarandone lo stato di adottabilità, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che le decisioni nei confronti dei genitori della sua etnia sarebbero discriminatorie perché “il numero di sentenze di adottabilità” ai loro danni “è assai più elevato e sproporzionato” rispetto agli altri minori.
Un’affermazione che la Corte respinge, replicando di essere “chiamata ad esprimere il proprio giudizio su fattispecie concrete e situazioni reali. Il generico richiamo a una pretesa elevata frequenza delle dichiarazioni di adottabilità di bambini di etnia Rom non è di per sé elemento valutabile”.
La Corte, dopo aver passato in ricognizione il caso, ha confermato lo stato di adottabilità, stabilito dalla Corte d’Appello di Firenze, di tre bambini, constatando “l’incapacità genitoriale” della donna a gestire i figli “in relazione alla frequenza scolastica e all’igiene personale” dei bambini: i due più piccoli non andavano a scuola, la più grande autogestiva le presenze alle elementari.
I bambini non avevano “figure parentali idonee e disponibili a prendersi cura” di loro, vista la situazione di estremo disagio della famiglia di origine. I giudici hanno valutato anche la volontà della maggiore – che “adultizzata”, accudiva i fratellini – di avere una famiglia che si prendesse cura di lei
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25 Luglio 2018 - 16.16
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