Storia di resistenza al razzismo quotidiano nella Torino multietnica

Il racconto di Sergio, palermitano trapiantato al nord testimone di tanti episodi di xenofobia

Striscione contro il razzismo
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

31 Luglio 2018 - 14.17


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Parlo a distanza con Sergio, che conosco da quando era bambino. A distanza perché lui lavora a Torino, vive a San Salvario, quartiere multietnico. “Amo San Salvario!”, mi dice Sergio, che vive Torino nel suo cuore multicolore, ma che si porta dentro, gelosamente, la sua Sicilia, Palermo. Parliamo del dilagante razzismo, della cattiveria diffusa, di cosa si possa fare, di cosa può fare ciascuno di noi, quotidianamente, per mettere argine all’odio, per ricostruire un’identità perduta. Sergio va al lavoro in tram, la faccia è la stessa di quando era ragazzo, ora che ragazzo non è più. Affronta il lavoro e gli altri con gli stessi sentimenti di sempre: intelligente, buono, creativo, “visionario”. E mi racconta di quel che ha vissuto al mattino in tram. Lo fa per darmi l’esempio di cosa si può fare quotidianamente per alzare quell’argine di cui io gli parlo, contro i rischi di una esondazione di odio che travolga tutto e tutti.            
“Ero sul tram, come ogni mattina, ho quasi rischiato di fare a botte con un individuo del cazzo che ce l’aveva con due ragazzi di colore che erano tra i passeggeri…Continuava a ripetere ad alta voce “E io pago …E io pago…E io pago”.  
Sergio ben sa che non l’avrebbe mai preso a schiaffi quel provocatore che ci provava ad istigare lui e i due ragazzi ad una reazione violenta. “Ancora adesso che sono cresciuto (ride) se ti dovesse capitare di rivedermi, non sono cambiato tanto dai tempi di Villa Sperlinga e del Giardino Inglese, a Palermo … Un mezzo figlio dei fiori, che si fa ancora le canne, che crede nell’uguaglianza, nell’amore, nella gentilezza incondizionata. Nonostante sia titolare di una piccola azienda che va più che bene, pur avendo un secondo lavoro di responsabilità in una azienda di famiglia, vivo in maniera semplice, mi piace aiutare sempre e incondizionatamente quello che mi sta accanto ed è in sofferenza”. Sergio riprende il racconto sull’uomo che provocava i due ragazzi di colore: una ragazza che gli stava dietro e un ragazzo che era davanti lui.
“A mezzo metro da lui, gli dico: ” Scusa, ma che lavoro fai?”. Risponde:”Sono disoccupato…grazie a loro…”, indicando i due ragazzi di colore. E io di rimando, gli dico:” Bene, ho dei campi in Sicilia (una bugia), adesso c’è il pomodoro, ti pago il biglietto per andare giù se fai tutta la stagione. Poi ci sarà l’uva da raccogliere, quindi sarà il tempo delle arance … Ecco, se accetti, guadagnerai, potrai pagare le tasse di cui mi parlavi, e sarai libero di dire “E io pago…”.  
L’uomo così baldanzoso con i due ragazzi che se ne stavano buoni, in silenzio, a quel punto si è alzato mugugnando “Ma…io…voi…”, ed è sceso alla prima fermata. Racconta ancora Sergio:” La ragazza, commossa, mi ha ringraziato, il ragazzo era mortificato perché pensava di essere stato incapace di difendersi, una signora anziana mi ha sorriso e mi ha detto “Grazie, ragazzo, avrei voluto fare io quel che hai fatto tu, ma sono vecchia…Bravo!”. Gli altri passeggeri, chi si è limitato a guardare, mortificato, chi ha girato lo sguardo altrove”.
“Anche questa è resistenza – dice Sergio – anche questo è fare, è azione…”. E chiude la nostra chiacchierata:”Sappi che quando cerchi di schiacciare uno scarafaggio, questo scappa”. E Sergio torna al suo lavoro.

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