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Piccola storia, o se volete solo piccola cronaca di mafia. Storia e cronaca che sono il segnale di un potere che è duro a morire, che riesce ad incidere sull’animo, ad asportare pure i sentimenti. Nove agosto, si comincia con una mail:”La sottoscritta dichiara di dissociarsi nettamente da tale scelta presa dallo stesso, non volendo avere più nessun tipo di rapporto con il sig. Rizzo Mario”. In calce, la firma è quella di Angela Russotto. Probabilmente questa breve mail passerà alla storia, alla storia della mafia che di orrori, di violenza, di fidelizzazioni e tradimenti, di complicità, connivenze e prese di distanza ne ha conosciute tante. Ma la dissociazione con comunicato stampa è un inedito. La mail è partita ieri sera da Favara ed è stata ricevuta dalle redazioni locali dei giornali, ad Agrigento. Angela Russotto fino a ieri sera era la fidanzata di Mario Rizzo, uno che ha vissuto dentro Cosa nostra ma che in questi giorni sta collaborando con la giustizia. Partendo da un tentato omicidio, a Liegi, Rizzo ricostruisce una guerra di mafia giocata tra Favara e il Belgio. Prima di Mario Rizzo, a inizio anno, aveva cominciato a parlare uno più importante, quel Giuseppe Quaranta che sta svelando molte cose della mafia di quest’angolo di Sicilia, e che per tanto tempo era stato braccio destro di Francesco Fragapane, capo riconosciuto delle famiglie mafiose di questa provincia, Agrigento, che si conferma affatto marginale nei giochi di Cosa Nostra. Dicevamo della mail di Angela che spezza e seppellisce lo scomodo e pericoloso fidanzamento con Mario. Nelle redazioni stanno interpretando la mail quando, poco dopo le 20, arriva una telefonata. A squillare, il telefono del sito grandangoloagrigento.it. Dall’altra parte della cornetta c’è Alessandro Rizzo, il fratello di Mario, anche lui si dissocia. Al momento Mario Rizzo, formalmente, è solo un dichiarante, ma la convivenza nello stesso stato di famiglia può essere mortale, non c’è tempo da perdere, bisogna prenderne le distanze. Anche per lui, come per Angela Russotto, urgente dare a chi di dovere il segnale che se Mario parla, loro stanno zitti, e sono stati pronti a disconoscere rapporti d’amore ed anche di sangue. Ma non è finita.
Passano pochi minuti e ai giornali arriva un’altra mail: “La famiglia del collaboratore Quaranta Giuseppe, la moglie e i figli, dichiarano di non voler condividere la sua scelta dopo aver provato tante volte a convincerlo a farlo ritrattare, e così hanno deciso di non voler più avere a che fare con lui stesso”. Troppo pericoloso essere legati – senza prenderne le distanze – ad un boss che salta il fosso e collabora con la giustizia. Con la mail della famiglia Quaranta il quadro è completo. Una catena di disconoscimenti che per la tempistica non può non far pensare ad una serie di dichiarazioni legate tra di loro. Disconoscimenti concordati, forse “consigliati”, anche per provare a fermare il pericoloso racconto di chi ha disertato l’esercito di Cosa nostra. Forse si vuole fare arrivare loro il segnale che se continuano a parlare, se vanno oltre quello che hanno già detto, perderanno per sempre anche la famiglia naturale, perderanno per sempre le persone con le quali avrebbero potuto dare vita ad una loro famiglia. Saranno soli e disperati, questo il messaggio, questo il messaggio dei familiari e della “famiglia”. E non e finita. Alle mail e alle telefonate di ieri, oggi ancora una mail.
Questa volta, il distinguo arriva dall’altro fratello di Rizzo, Fabrizio. Riferendosi alla scelta fatta dal fratello Mario, Fabrizio Rizzo scrive: “Preso atto della scelta di collaborare con la giustizia, mi dissocio nettamente dalla scelta fatta dallo stesso non volendo avere più nessun tipo di rapporto con il signor Rizzo Mario. Cordiali saluti”. Con disprezzo, chiama il fratello “il signor Rizzo”. Perchè il segnale a chi di dovere arrivi netto e chiaro, e non ci siano margini di pericoloso dubbio.
Quel che è accaduto tra ieri ed oggi a Favara dice quanto sia ancora lunga la strada da un affrancamento reale e sostanziale dalla pesante ipoteca di Cosa nostra. Favara, qui la mafia è cosa antica, qui alcuni storici fanno risalire addirittura la stessa nascita della mafia. Sta di fatto che da queste parti il potere mafioso ha attraversato i secoli, sapendosi adattare, Repubblica dopo Repubblica. Quando c’erano tanti soldi pubblici da elargire e spartirsi, Favara arrivò a detenere il record nazionale di imprese impegnate nei lavori pubblici. Poi fu la crisi, molte sparirono, i soldi presero altre strade, droga compresa. “Molliche” di questa costante mafiose sono i killer del delitto Livatino, la lunga latitanza di Giovanni Brusca. Si, perchè pochi ricordano che prima di essere catturato, a Cannatello, località marina nel territorio di Favara, e prima del pentimento, l’uomo che sciolse nell’acido il piccolo Di Matteo si nascondeva qui, all’ombra delle famiglie mafiose di Favara. E in tanti in paese sapevano di quell’ospite da trattare bene e circondare di discrezione. Ed oggi, i segni che il monito è arrivato: il muro dell’omertà è ben saldo, va tutelato da chi vuole picconarlo, via alla campagna di dissociazione, partendo dai legami di sangue, dai baci dati e ripudiati.