“L’aria era pesante di odori
di diarrea di bambini non lavati
con costole slavate e sederi prosciugati
in lotta con passi affaticati dietro vuoti ventri rigonfi.
Molte lì hanno da tempo cessato
di preoccuparsi, ma non quella madre,
che manteneva tra i denti un sorriso spettrale,
e negli occhi il fantasma dell’orgoglio materno
mentre gli pettinava i capelli rugginosi
rimasti sul cranio, e poi,
solo negli occhi cantando, iniziò
a ripartirli adagio… In un’altra vita
questo sarebbe stato un piccolo atto quotidiano
privo di importanza tra colazione e scuola:
ora lei lo faceva come ponendo fiori
sulla minuscola tomba di un bambino”.
Torniamo sulla storia del piccolo del Mali che aveva lasciato l’Africa affidandosi all’incertezza del Mediterraneo e sfidando la cattiveria dilagante sull’altra sponda, la nostra. Lo aveva fatto cucendosi sull’interno della blusa che toccava il cuore, la pagella, un attestato della sua sperduta scuola africana che ci mandava a dire che quello era un bravo ragazzo, che sarebbe stato prezioso per costruire qui una società migliore.
Ci torniamo sulla storia del ragazzo senza nome con la pagella, per regalargli una poesia, quella del più grande poeta africano, Albert Chinualumogu Achebe. Nei versi di Achebe, gli ultimi gesti di una madre che deve sotterrare il figlio morto di stenti e di fame. La donna regala alla sua piccola creatura gli ultimi tocchi quotidiani d’amore, come quello di sistemargli un ricciolo, come quello di cantargli una ninna nanna, quella di ogni sera, quella che serviva ad alleviare il dolore. Del piccolo e della madre.
Al piccolo con la pagella sul cuore regaliamo quel che non ha potuto avere alla fine del suo breve percorso di vita: il pianto e il dolore senza pari della madre, il fiore povero sulla terra rossa a coprirlo, accompagnato da quell’odore di diarrea di bambini che il poeta evoca ad inizio di poesia. Schiaffo, non solo metaforico, alle nostre colpe.
Ci sono passaggi della storia che servono a misurare la nostra umanità, a verificare il tanto smarrito, a pesare il carico grave di odio, cattiveria e indifferenza. E la morte di questo ragazzino, quei voti in fila su un corpo mangiato dal sale e dai pesci, è uno di questi passaggi della Storia. Chi non lo coglie, merita di essere cacciato via dalla Storia a dal percorso del nostro Paese. Aggiungo, anche con violenza, quando violenza è ferma determinazione a ripristinare ragione e giustizia.
La storia del piccolo del Mali è rimasta lontana, assente dall’osceno vomito di scritti e manifestazioni plateali degli uomini del regime, di quelli impettiti in divisa e di quelli miracolati che si muovono come vecchi manichini ripuliti alla meno peggio, manichini di vecchie vetrine di provincia. Il loro silenzio su questa storia prima scandalizza, poi conforta, dopo averci sgomentato.
Probabile che quella pagella cucita sia stato l’ultimo gesto di una madre. Se ci fosse la possibilità, dovremmo riportargliela a quella madre, chiedendole perdono, dicendole che il suo piccolo a tanti di noi ha dato una grande lezione e indicato la buona strada.