Le vostre svastiche non fermeranno le nostre voci: giù le mani dalla Montagnola
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Le vostre svastiche non fermeranno le nostre voci: giù le mani dalla Montagnola

Nella prima piazza della Resistenza a Roma i "soliti ignoti" hanno insozzato il monumento che ricorda i 53 caduti contro l'avanzata nazifascista del 1943. Il ceppo usato come bersaglio per il lancio di bottiglie

Piazzale Caduti della Montagnola, Roma
Piazzale Caduti della Montagnola, Roma
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3 Febbraio 2019 - 17.51


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E’ apparsa una svastica nella prima piazza della Resistenza d’Italia. Che è a Roma. Piazzale Caduti della Montagnola. Ottavo Municipio, quello che ha lanciato la candidatura di Mimmo Lucano e Riace come Premio Nobel per la Pace. Quello che nel giardino della scuola media Macinghi Strozzi di Garbatella ha appoggiato la scelta dei ragazzi: posizionare 24 pietre d’inciampo per ricordare i migranti morti nel mare dell’indifferenza, tra gli slogan degli affogatori. Forse troppo, troppa democrazia, e allora c’è chi esce dalle fogne, di notte. Per insultare, negare.
Una svastica con uno spray verde, disegnata per giunta al contrario, dietro il monumento che ricorda 53 caduti, i primi che si opposero con quanto potevano all’avanzata nazifascista a Roma nel 1943. uno sfregio, l’ennesimo, non solo alla storia ma alla coscienza civile di un Paese. Non paghi, i fascisti che hanno imbrattato un luogo che è simbolo, hanno usato il monumento come bersaglio per un lancio incrociato di bottiglie di vetro. Ci sono cocci ovunque. Come se la memoria si potesse cancellare.
E allora vale ricordare. Per capire come un’interà comunità, una città siano state sfregiate.
Se avete tempo, voglia, questa è la storia di Piazzale caduti della Montagnola, Roma.
Alle ore 6.00 del 10 settembre 1943 un fuoco di fucileria proveniente dall’attuale palazzo della Civiltà Italiana all’Eur annunciò ai circa ottocento granatieri di Sardegna asserragliati nel forte Ostiense che i tedeschi avevano travolto le difese allestite al ponte della Magliana. Erano entrati. Erano a Roma. Aggregato al forte c’era l’Istituto religioso Gaetano Giardino, che ospitava circa quattrocento bambini orfani di guerra e minorati psichici, sotto l’assistenza di Don Pietro Occelli e di trentacinque suore francescane. I granatieri avevano solo 91 fucili, risposero al fuoco come potevano ma i nazisti erano forti, erano tanti, ed erano armati.
Alle ore 7.00 da uno spiazzo del Palazzo della Civiltà Italiana, un mortaio dei paracadutisti tedeschi cominciò a bersagliare il bastione del forte, dove era stata predisposta la difesa principale dei granatieri. Alcuni paracadutisti tedeschi superarono la Cristoforo Colombo e via Ostiense. Avevano i lanciafiamme, accesero roghi, bruciarono.

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Don Pietro Occelli, direttore dell’istituto degli orfani, alzò un lenzuolo bianco sopra una pertica per dire ai tedeschi che era la resa, basta, fine, ci arrendiamo, ci arrendiamo qui ci sono bambini, per favore non sparate. Suor Teresina di Sant’Anna, nata ad Amatrice, stava componendo il cadavere d’un granatiere nella cappella del forte Ostiense, quando un soldato tedesco che passava lì accanto si accorse che il morto aveva una catenina d’oro al collo, la catenina con il crocifisso. Cercò di strappargliela, la suora si oppose, lo prese a schiaffi. E lui la colpì tante e tante volte da farla cadere. Da ucciderla. C’era un fornaio. Si chiamava Quirino Roscioni. Mise a disposizione dei ribelli contro i nazisti la casa e il forno. Fece il pane, diede vestiti borghesi ai soldati italiani. Provò. Ma i nazisti avevano le mitragliatrici. Era il 10 settembre del 1943, è un tempo distante come un elastico, grande come un arco. Lo uccisero. In questa piazza dove ora gli anziani passeggiano, i bambini di qualunque etnia giocano. dove i ragazzi fanno tardi sulle panchine ci sono stati 53 caduti: fu il primo grande argine all’avanzata dei nazisti dentro Roma, dentro l’Italia. E’ una piazza di eroi. E di martiri.
Giù le mani da casa nostra.

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