Mettiamoci tutti il fazzoletto tricolore dei partigiani, perché il vento fischia ancora
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Mettiamoci tutti il fazzoletto tricolore dei partigiani, perché il vento fischia ancora

Alcuni non vogliono riconoscere che quelli che ci dettero la libertà dovettero combattere contro altri italiani che invece questa libertà ci negarono.

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Giancarlo Governi Modifica articolo

24 Aprile 2019 - 10.25


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Ho ritrovato il fazzoletto da partigiano. Qualcuno mi ha detto “quando hai fatto il partigiano tu?”. Queste cose si ereditano, appartengono alla nostra memoria, come la camicia rossa di Garibaldi. Quando mai sono stato garibaldino io? Lo sono stato sulle barricate del Vascello a difendere disperatamente il sogno della Repubblica Romana che crollava sotto i colpi francesi, e poi lo sono stato a Calatafimi, a Palermo, a Milazzo e sul Volturno, quando il Generale tirò fuori tutta la sua genialità strategica. Io c’ero e ci sarò sempre. Come pure ero a Porta San Paolo vicino a Raffaelle Persichetti, professore di Storia dell’Arte del liceo Visconti che lasciava lì la sua giovane vita, per ridare l’onore all’Italia, mentre il re con tutta la corte si imbarcava sulla nave Baionetta. Ero in montagna con Duccio Galimberti e poi nelle radiose giornate di aprile a Bologna, a Torino a Milano. Ero il 2 giugno a sostenere la Repubblica e a festeggiarne la vittoria. Ero con i Padri Costituenti che ci davano l’ordinamento repubblicano. E poi ero a Porta San Paolo nel luglio del 1960 con la maglietta a strisce a tirare sassate al colonnello D’Inzeo, che caricava a cavallo il corteo dei democratici che voleva portare una corona ai caduti della Resistenza. E lì c’ero realmente, non solo con la memoria.
Oggi quel fazzoletto tricolore da partigiano, se qualcuno lo avesse lasciato in un baule, dovrebbe ritirarlo fuori e il 25 aprile metterselo al collo con orgoglio perché mai come oggi, dal dopoguerra, la democrazia è messa in pericolo dai rigurgiti fascisti, tollerati e spesso blanditi da alcune forze di governo e ci si dimentica che il 25 aprile non è un pretesto per un ponte e per una scampagnata ma è la festa della liberazione dal nazi fascismo. Una vittoria che è costata tanto sangue e tanto sacrificio di giovani vite per la nostra libertà e il nostro futuro.
Oggi si vuole che il 25 aprile sia una festa condivisa, ed è giusto, ma alcuni non vogliono riconoscere che quelli che ci dettero la libertà dovettero combattere contro altri italiani che invece questa libertà ci negarono. Un sottotenente della Folgore che resistette a El Alamein alle forze inglesi soverchianti, disse che la Resistenza nacque lì, in odio all’alleato tedesco che nella terribile ritirata nel deserto impediva ai poveri soldati italiani di aggrapparsi ai loro camion. La Resistenza cominciò a Porta San Paolo quando un gruppo di militari e di civili difese la Capitale contro le soverchianti forze tedesche, mentre il re con il suo seguito si imbarcava a Pescara sul Baionetta, diretto al Sud, lasciando l’esercito allo sbando e il Paese in balia dei tedeschi, che da alleati si erano trasformati in invasori. La resistenza incominciò a Cefalonia, dove più di 5000 italiani preferirono la morte piuttosto che cedere le armi ai tedeschi. Qualcuno disse che quel giorno morì la Patria, niente di più falso perché quel giorno, a Cefalonia, a Porta San Paolo la Patria risorse.
Tutta l’Italia migliore partecipò alla Resistenza. Ci furono formazioni comuniste, le famose brigate Garibaldi, ma ci furono le formazioni socialiste, intitolate a Matteotti, il martire dell’antifascismo, le formazioni cattoliche, le formazioni dei liberalsocialisti di Giustizia e Libertà, ma anche i liberali, i monarchici, i carabinieri (in Valdorcia, in Toscana, le formazioni partigiane erano comandate da un maresciallo dei carabinieri). In questo senso possiamo dire che la Resistenza e la Liberazione sono di tutti, perché tutte queste forze politiche e sociali e culturali concorsero alla cacciata dei nazisti e dei fascisti ma anche alla ricostruzione morale e materiale del Paese.
Fu dopo il 18 aprile del 1948, dopo la vittoria della Democrazia Cristiana, che la festa del 25 aprile fu cancellata, quasi proibita e fu in quel momento che fu consegnata alle sinistre, ai comunisti e ai socialisti, che continuarono a tenere viva la memoria. Una memoria di cui tutti coloro che si rifanno ai quegli ideali e a quei principi di libertà e di democrazia si sono riappropriati.
Oggi che senso ha festeggiare con convinzione il 25 aprile? Al dovere di mantenere viva la memoria e di tramandarla alle giovani generazioni, si aggiunge una risposta vigile ai rigurgiti fascisti che si manifestano nella nostra società, che si annidano nei meandri del disagio sociale ed economico, Per questo dobbiamo ribadire con forza: ora e sempre Resistenza! Perché il vento fischia ancora…

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