Rilascio di Carola Rackete: ecco come la Gip ha smontato il decreto Salvini

La Comandante ha agito per dovere e le circolari del Viminale hanno meno valore di obblighi internazionali.

Carola Rakete
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3 Luglio 2019 - 12.10


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di Eleonora Camilli e Francesco Floris

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Carola Rackete ha agito per adempiere a un dovere, quello di salvare vite umane in mare. Lo dice chiaramente il gip Alessandra Vella, che ieri non ha convalidato l’arresto della Comandante della nave per conto della ong tedesca Sea Watch. L’ordinanza emessa ieri dal Tribunale di Agrigento, contiene diversi elementi di interesse: innanzitutto perché mette in discussione il recente decreto sicurezza bis e lo slogan, spesso reiterato, dei porti chiusi. E ricostruisce passo per passo cosa è accaduto nei 17 giorni trascorsi dal salvataggio del 12 giugno all’entrata in porto a Lampedusa dell’imbarcazione con a bordo 42 naufraghi. Dando, nei fatti, ragione alla capitana della nave. In particolare, spiega Vella, viste le convenzione internazionali che regolano il soccorso in mare “nessuna idoneità a comprimere gli obblighi gravanti sul capitano della Sea Watch 3, oltre che delle autorità nazionali, potevano rivestire le direttive ministeriali in materia di ‘porti chiusi’ o il provvedimento del 15 giugno 2019 (decreto sicurezza bis, ndr) del Ministero degli Interni di concerto con il ministero della Difesa e della Infrastrutture, che faceva divieto di ingresso, transito e sosta della nave, nel mare territoriale nazionale”. Per il gip dunque, Carola Rackete ha agito nell’adempimento di un dovere, che non si conclude con il salvataggio in mare, ma “con la loro conduzione nel più volte citato porto sicuro”. Inoltre, “l’attività del capitano della nave Sea Watch 3 – si legge – di salvataggio in mare di soggetti naufraghi, deve, infatti, considerarsi adempimento degli obblighi da un complesso normativo” che richiama diverse convenzioni internazionali: come quella sul diritto del mare di Montego Bay (articolo 18), la convenzione Sar di Ambrugo (Search eand Rescue), la convenzione Solas. Per il gip di Agrigento, la nave che soccorre i migranti non può considerarsi offensiva per la sicurezza nazionale.

Ma cosa è successo in quei 17 giorni? La risposta si trova dentro le 13 pagine dell’ordinanza. “Preso atto di quanto accaduto si allontanava senza dare indicazioni al comandante della Sea Watch 3”. Ecco il primo comportamento di una motovedetta libica messo nero su bianco dalla gip nel dispositivo con cui sono stati revocati i domiciliari a Carola Rackete. È la mattina del 12 giugno e Sea Watch ha appena soccorso 53 persone su un gommone avvistato dall’aereo “Colibrì” a una distanza di 47 miglia nautiche dalla Libia. Quello dei militari di Tripoli è solo il primo di una lunga serie di comportamenti omissivi e vuoti informativi da parte delle varie autorità dei diversi Paesi coinvolti. La ong guarda la motovedetta libica andarsene e “immediatamente” richiede alle autorità italiane, maltesi, olandesi e libiche l’indicazione di un porto sicuro. Alle 23, dopo diverse ore, risponde solo la Libia e indica il porto di Tripoli.  Ma la Libia non è un porto sicuro, Sea Watch non vuole e non ci può andare perché commetterebbe un respingimento. Lo segnala il giorno successivo chiedendo un porto alternativo o il trasbordo dei migranti su un’altra unità navale. Le radio tacciono. Alle 19:01 del 13 giugno Roma comunica soltanto di non essere l’autorità competente, mentre la Sea Watch 3 comincia a dirigersi verso nord. Il 14 giugno vengono reiterate richieste alle autorità italiane e maltesi indicando “condizioni di vulnerabilità in cui versano le persone soccorse”. La Valletta resta taciturna mentre da Roma arriva un risposta differente: la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto sicurezza bis. Passa un giorno ancora e i ministri dell’interno, difesa e infrastrutture dispongono il divieto di ingresso, transito o sosta della Sea Watch 3 nel mare territoriale nazionale. Tutto ciò mentre i medici del Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta (Cisom) che lavorano con le Capitanerie di porto salgono a bordo dell’imbarcazione battente bandiera olandese che si trova a 17 miglia da Lampedusa e fanno evacuare 8 migranti (più due accompagnatori) a causa delle condizioni sanitarie. Vengono trasferiti sull’isola dalle motovedette italiane.

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“Nei giorni successivi – si legge dell’ordinanza di Agrigento – la motonave Sea Watch 3 inoltrava diverse mail al Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo delle Capitanerie di Porto rinnovando le richieste di assegnazione di un luogo sicuro in Italia, allegando dettagliati report medici sulla situazione medico-sanitaria dei migranti”. I frequenti contatti via mail dopo una settimana sortiscono qualche effetto: il 22 giugno viene evacuato un uomo bisognoso di cure urgenti. Passano altri quattro giorni di attesa senza sbocchi, ma è solo quando Sea Watch decide di puntare la prua verso le acque territoriali italiane e fare il proprio ingresso nei confini della penisola che d’improvviso contatti si fanno quotidiani, se non orari. Finanza e Guardia costiera intimano l’alt e salgono a bordo per acquisire documenti e la lista dell’equipaggio. La stessa notte tornano a bordo per acquisire informazioni sui migranti. Un’attività che prosegue identica per giorni fino a quando la Comandante – a cui è già stato notificato un invito a comparire in qualità di persona sottoposta a indagini, da parte Procuratore Aggiunto di Agrigento Salvatore Vella – non decide di dirigersi verso la banchina commerciale nel porto di Lampedusa. Dove ormeggia intorno all’1:45 di notte del 29 giugno dopo aver urtato la vedetta delle Fiamme Gialle che si era frapposta per impedire l’attracco.

“Abbiamo cercato per 14 giorni di non infrangere la legge – ha fatto mettere a verbale Carola Rackete assistita dall’avvocato Leonardo Marino –. Ma la pressione psicologica era diventata intensa perché non avevamo nessuna soluzione e le condizioni mediche peggioravano”. E ha aggiunto: “Ho aspettato per una soluzione politica che mi era stata promessa dalla Guardia di Finanza”. Chiaro riferimento, quello della Capitana tedesca, al video in cui si vedono alcuni ufficiali delle Fiamme Gialle salire a bordo di Sea Watch e, senza interprete, chiedere alla ong di attendere perché “i nostri superiori ci hanno detto di pazientare da parte vostra perché probabilmente si sta sbloccando la situazione”

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