Bologna, 2 agosto 1980: la strage fascista
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Bologna, 2 agosto 1980: la strage fascista

Condannati all'ergastolo i militanti di estrema destra Valerio Fioravanti e Francesca Mambro dei Nar con Luigi Civardini. Condannati per i depistaggi due ufficiali del Sismi e anche Licio Gelli.

Bologna, 2 agosto 1980: la strage fascista
La strage di Bologna del 2 agosto 1980
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Giovanni Giovannetti Modifica articolo

2 Agosto 2023 - 09.15


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Quando il presidente americano Richard Nixon – travolto dallo scandalo Watergate – il 9 agosto 1974 è costretto a dimettersi, alla falange golpista italiana viene meno il principale referente politico.
Negli anni che separano le stragi di Brescia e dell’Italicus del 1974 da quella alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 si assiste al cambio di passo, ma non di prospettive, da parte di chi (gerarchie militari, apparati statali, politici, imprenditori e P2) non rinuncia a coltivare propositi autoritari. Abbandonata l’idea di un colpo di Stato militare di stampo greco o cileno (ma nel 1979 è di nuovo crisi tra le due superpotenze, con la decisione di installare sul territorio europeo un certo numero di testate nucleari a medio raggio, i cosiddetti euromissili, da opporre agli SS-20 sovietici), questi ambienti provano allora a perseguire gli stessi fini a partire dall’inasprimento dell’ordine pubblico, e così far digerire una qualche limitazione delle libertà politiche e civili, a fronte dei gravi conflitti di piazza che attraversano il Paese.

Banco di prova saranno Milano, Roma e Bologna. L’11 marzo 1977 a Bologna, in una città militarizzata, sotto i portici di via Mascarella i Carabinieri sparano ad altezza d’uomo e ammazzano Francesco Lorusso, un giovane studente. Stessa sorte per Giorgiana Masi, uccisa a Roma due mesi dopo. E mentre a Milano per le strade i militanti dell’Autonomia operaia esibiscono le P38, nelle stesse ore appartenenti a Ordine nuovo propongono al bandito Renato Vallanzasca e alla sua banda della Comasina di piazzare delle bombe nelle stazioni ferroviarie.
Vallanzasca declinerà l’invito ma, quanto alle bombe, è ciò che accade il 2 agosto 1980 proprio a Bologna, con la valigia contenente esplosivo civile e militare deflagrato o fatto deflagrare alle ore 10,25 del primo sabato di agosto nell’affollatissima sala d’aspetto di seconda classe della stazione ferroviaria (85 morti, 200 feriti): proprio come si legge in Linea politica, un documento di Terza posizione: «occorre una esplosione da cui non escano che fantasmi […] bisogna che le stazioni non siano più sicure».

La bomba catastrofica di Bologna è preceduta il 20 maggio dall’auto imbottita con 94 candelotti parcheggiata a Roma di fronte alla sede del Consiglio superiore della Magistratura, proprio mentre era in corso un raduno di alpini. Solo il guasto temporaneo del timer impedirà una strage dalle dimensioni enormi, la più sanguinosa mai vista in Italia. A Roma l’esplosivo era giunto dal Veneto, portato da Roberto Raho; Raho è il braccio destro dell’ordinovista padovano Massimiliano Fachini e l’esplosivo lo aveva ricevuto da “Zio Otto”, ovvero da Carlo Digilio (legato ai Servizi militari americani) «su autorizzazione di Carlo Maria Maggi», dirà Digilio al giudice milanese Guido Salvini che l’interroga. Fachini, Maggi, Digilio… Gli stessi nazifascisti veneti coinvolti nelle stragi di piazza Fontana a Milano e di piazza della Loggia a Brescia.

Il 30 luglio un’autobomba esplode nottetempo a Milano, nei pressi di un ingresso laterale di Palazzo Marino, mentre tarda a concludersi il Consiglio comunale; un protrarsi che salverà la vita a consiglieri comunali, pubblico e giornalisti; e non è da escludere che la bomba bolognese sia la conseguenza della mancata strage di soli tre giorni prima a Milano.

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Una bomba nera
Anche per la bomba di Bologna ai giudici pare acclarata la paternità nazifascista, e per la carneficina alla stazione verranno condannati all’ergastolo i militanti di estrema destra Valerio Fioravanti e Francesca Mambro dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) nonché Luigi Civardini (Nar, trent’anni di carcere), il generale Pietro Musumeci (Sismi, otto anni e sette mesi per calunnia aggravata ai fini del depistaggio), il braccio destro di Musumeci colonnello Giuseppe Belmonte (Sismi, sette anni e undici mesi). Condannati anche il capo della P2 Licio Gelli (dieci anni, poi ridotti a cinque da trascorrere ai domiciliari nella comoda dimora di Villa Wanda) e il faccendiere Francesco Pazienza (dieci anni, di cui tre condonati).
Insomma, sulla strage di Bologna dell’agosto 1980, P2 e i Servizi segreti dello Stato italiano – per quanto riformati – di nuovo mestano nel torbido e di nuovo vergano informative false e depistanti. La notte fra il 12 e il 13 gennaio 1981 i vertici del Sismi a trazione gelliana hanno anche fatto in modo che si scopra sul treno Taranto-Milano, e proprio alla stazione di Bologna, una valigia contenente esplosivo uguale a quello della strage, ma anche inneschi, armi e quanto altro serve a orientare le indagini verso una fantomatica centrale terroristica internazionale di estrema destra. E poiché «i Servizi segreti sono organi esecutivi e depistano perché ricevono l’ordine di farlo dai loro superiori gerarchici» (Vinciguerra), un qualche vertice istituzionale deve aver ordinato il depistaggio.

Per il giudice romano Otello Lupacchini, su questa strage si riverbera fra gli altri l’ombra di un delinquente come Massimo Carminati: suo il mitra Mab modificato messo – a monito o messaggio per qualcuno (Semerari?) – sul treno Taranto-Milano. Nella Sentenza ordinanza sulla banda della Magliana Lupacchini insiste poi «sul ruolo svolto da costui in una delle più torbide vicende della storia dei servizi di sicurezza degli anni Ottanta: il depistaggio delle indagini per la strage di Bologna» (nel 2001 Carminati è stato però assolto da questa accusa).
E poniamo che davvero l’esplosivo fosse solo in transito da Bologna per altra o altre destinazioni (quell’“altra verità” su cui tra poco ci dilungheremo); ipotizziamo quindi che l’esplosione sia un incidente di percorso. I giudici bolognesi paiono convinti che di questo trasporto se ne stava occupando il gruppo di Fioravanti (e l’utilizzatore finale a questo punto parrebbe la “destra di Servizio” dei soliti noti: Fachini, Signorelli, De Felice, Semerari…).
Nulla ancora sappiamo sui possibili mandanti di questa strage. Ma nel sostenere che l’esplosione della bomba alla stazione di Bologna è «un incidente dovuto all’imperizia di chi la stava trasportando», il dirigente del gruppo neonazista di Terza posizione Giuseppe De Bellis ritiene che quell’esplosivo fosse destinato a «più attentati nel contesto di una rinnovata strategia della tensione che si era messa in movimento nel 1979. Tale strategia prevedeva che venisse inscenato un tentativo di golpe che sarebbe poi stato gestito ai fini politici di riequilibrio di potere».

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Desta quindi inquietudine ciò che si legge sopra un foglietto ritrovato nelle tasche di Gelli al momento del suo arresto, a Ginevra il 13 settembre 1982. Questo foglio è titolato “Bologna” e riporta l’elenco di alcuni pagamenti effettuati tra il 3 settembre 1980 e il 12 febbraio 1981 a non meglio precisati “Dif. Mi” (10 milioni) e “Difes. Roma” (5 milioni), per un ammontare di 15 milioni di dollari in contanti, forse provenienti dal Pentagono e puntualmente dilavati nella complessa partita di giro da un istituto bancario all’altro. Quattrini in seguito approdati sul conto Recioto (dal nome di un famoso vino veneto) presso la Rothschild Bank di Zurigo, e da lì nelle capaci tasche di Gelli e di Ortolani.

Mettendo questo foglio in relazione con altri documenti sequestrati dai magistrati milanesi in quel fatidico 17 marzo 1981 a Villa Wanda (documenti in cui si legge che altri quattro milioni sono stati versati tra il 20 e il 30 luglio 1980: a questa data esplode l’autobomba nei pressi di Palazzo Marino a Milano; tre giorni dopo salta in aria la stazione di Bologna), in Alto tradimento il giornalista Roberto Scardova ipotizza che potrebbero essere elargizioni all’Anello (il “Noto Servizio” d’osservanza andreottiana di cui si è detto) e a Gladio, in vista di un colpo di Stato da fare poco dopo la strage bolognese del 2 agosto.
Solo la casuale scoperta a Villa Wanda degli elenchi dei componenti della P2 (e sono generali, magistrati, politici, giornalisti, imprenditori…) potrebbe aver impedito questa deriva.

Il ruolo della P2
Licio Gelli il mandante della strage di Bologna? Ne sono convinti gli autori di Alto tradimento; ma così non pare alla procura di Bologna, che di questa loro denuncia nel 2017 chiede l’archiviazione.
Per questi magistrati la bomba sarebbe quindi da ascrivere allo “spontaneismo armato” di un manipolo di ragazzini che hanno agito di propria iniziativa e non come ultimo anello di una catena che li collega alle istituzioni.
E dire che poco prima di morire lo stesso Venerabile tornerà a parlare di un colpo di Stato, non per caso pianificato per il 1981: lo rievoca nella già ricordata intervista a “Il Tempo” del 28 gennaio 2011 («Ah, se solo avessimo avuto quattro mesi ancora»); in un’altra intervista del 2010 a Matteo Pasi per il film-documentario Un solo errore («si era a quattro mesi dal golpe che si andava preparando»); a Enrico Mentana nel 2014, in un commento andato in onda su La7 solo il 18 dicembre 2015, tre giorni dopo la morte del capo della P2: «Se avessimo avuto ancora quattro mesi di tempo avremmo attuato noi il Piano di rinascita», ricorda Gelli: «c’era da fare soltanto un trasferimento di ufficiali delle Forze armate. Sarebbe stato un colpo di Stato senza colpo ferire, non ci sarebbero stati combattimenti. Soltanto sarebbero state eliminate persone che già sapevamo, prese nelle loro case e da Ciampino trasferite in Sardegna dove ci sono seicento villette già pronte» (Scardova, Alto tradimento, p. 62).
Stando al Venerabile, Francesco Cossiga e Giulio Andreotti, «l’uno con Gladio e l’altro con l’Anello avevano sistemi di controllo politico che Berlusconi non è riuscito a ripetere. E si sono visti i risultati di questa sua incapacità».

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Distrazione di massa?
Ma a ben vedere, tuttora non è chiaro se la mancata strage del 30 luglio 1980 a Milano e quella tragica del 2 agosto a Bologna mirassero a giustificare un colpo di Stato incruento o se invece vadano lette come una manovra di distrazione di massa, chissà se affidata alla «destra di servizio», dopo l’imbarazzante abbattimento accidentale di un aereo civile il 27 giugno 1980 nei cieli di Ustica (77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio: tutti morti) da parte di un aereo militare “atlantico”, forse francese forse americano mandato a intercettare tra le isole di Ustica e Ponza l’aereo con cui il leader libico Gheddafi si stava recando a Varsavia (Gheddafi farà un repentino dietrofront, scampando all’aggressione).

«Perché mai, subito dopo l’eccidio Nato di Ustica, la destra veneta ha sentito il bisogno di compiere un attentato di “eccezionale gravità”?», si domanda un acuto osservatore d’area fascista come Vincenzo Vinciguerra. Certo è che anche su Ustica la verità tarderà a farsi largo e per circa un decennio la caduta di quel Dc-9 Itavia verrà fintamente attribuita prima a un cedimento strutturale (e per questo motivo Itavia dovrà chiudere i battenti); poi a una bomba esplosa a scopo terroristico all’interno dell’aereo. Comunque sia, forse non sbaglia Vinciguerra a considerare la strage di Bologna l’ultima, la più efferata, tra le stragi di Stato: «è la ragion di Stato, la motivazione della strage di Bologna del 2 agosto 1980», ha scritto. Come nel passato, «cercare una logica politica di opposizione al sistema parlamentare in una strage è grottesco perché questa è un’arma che favorisce chi detiene il potere»; e come nel passato «anche nell’estate del 1980 la strage di Bologna non poteva – né doveva – destabilizzare l’ordine pubblico e quello politico ma stabilizzarli al prezzo di 85 morti e 200 feriti. L’eccidio del 2 agosto 1980 ha colto anche questo obiettivo, favorendo l’unità nazionale che la verità su Ustica avrebbe mandato in frantumi».

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