Nasce Safe: una alleanza tra profit e no profit per finanziare l'educazione contro la violenza di genere

Dal Piemonte alla Puglia per finanziare l’educazione nelle scuole contro la violenza di genere grazie all’alleanza tra profit e non profit. A Torino nasce Safe, la prima agenzia nazionale di fundraising.

Foto durante la conferenza stampa di presentazione di Safe
Foto durante la conferenza stampa di presentazione di Safe
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Claudia Sarritzu Modifica articolo

24 Novembre 2019 - 09.37


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Parte dal Piemonte con Safe la staffetta di aziende e associazioni per finanziare l’educazione alla non violenza di genere. A Torino è stato presentato il progetto di innovazione sociale promosso dal Centro Studi e Documentazione Pensiero Femminile, Apid- Imprenditorialità Donna e Cafid – Coordinamento associazioni femminili imprenditrici e dirigenti. Al lancio di Safe ha partecipato la senatrice pd Valeria Valente, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e su ogni forma di violenza di genere e prima firmataria del ddl “Introduzione dell’educazione alle differenze di genere nelle attività didattiche delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università

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Safe è la prima agenzia nazionale di fundraising che insieme a 25 associazioni sparse sull’intero territorio nazionale vuole garantire percorsi stabili di educazione alla non violenza di genere nelle scuole e nei centri giovanili sportivi, artistici e culturali. Percorsi che diversamente molte associazioni soffocate dalla burocrazia e dai tempi lunghi dei pagamenti non riescono ad erogare con continuità. Safe considera l’assenza di violenza di genere un bene comune e ritiene che le aziende possano contribuire a creare una nuova cultura nelle proprie comunità di riferimento, grazie al coinvolgimento diretto nei progetti che eroga delle/dei propri dipendenti e del territorio.

Stando agli ultimi dati Eures è evidente che la nostra cultura rende ancora molto deboli gli sforzi compiuti da chi cerca di contrastare la violenza di genere: sono 3.230 le donne assassinate dal 2000 ad oggi, 538 mila le donne che hanno subito violenza fisica o sessuale negli ultimi 5 anni,1.546 le ragazze minorenni stuprate negli ultimi 5 anni, 40 mila tweet negativi su 150 mila nel 2018, avevano come obiettivo le donne e 142 le donne uccise nel 2019.
Abbiamo intervistato la dottoressa Stefania Doglioli, direttora Centro Studi e Documentazione Pensiero Femminile; fondatrice e responsabile progetto Safe. 

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Come nasce l’idea e chi sono le donne che hanno ideato questo progetto?
L’idea nasce da un sincero, forte ed inarrestabile eccesso emotivo probabilmente straordinariamente femminile. nasce dalla frustrazione maturata in anni di lavoro di ricerca e formazione dedicati al tema dei percorsi di fuoriuscita dalla violenza e dalla convinzione di avere maturato conoscenze e competenze che possono davvero fare la differenza. Nasce dal dolore per la propria impotenza e dall’orgoglio per la propria potenza. Siamo un gruppo di donne eterogeneo, che ama profondamente le proprie differenze, alcune di noi hanno vissuto la violenza nella propria vita, io penso spesso a quanto avrei voluto che qualcuno mi dicesse che non era giusto quello che stavo vivendo senza dover aspettare di crescere, ma anche solo per avere qualche strumento in più mentre crescevo. Intrecciamo le nostre storie e aggiungiamo i fili di quelle che ci vengono narrate, esperienze, competenze, passioni, rabbia e positività, è così che abbiamo creato il progetto, lo abbiamo tessuto. Abbiamo lavorato tutte per un anno in modo completamente gratuito, è stata la nostra modalità di finanziamento, non avevamo voglia di aspettare fondi, volevamo iniziare subito, sentivamo l’urgenza di lavorare, ce l’abbiamo fatta, ora il progetto è pronto e la partecipazione alla prima giornata di lancio è eccezionale.

Il nord secondo gli ultimi dati raccolti dal Viminale vede il numero maggiore di femminicidi di tutto il Paese. Come è la situazione a Torino?
Ho un passato da insegnante di statistica e ho fatto il mio dottorando analizzando i dati della prima indagine di vittimizzazione in Italia, coi numeri sono molto cauta, non credo di poter considerare significative queste differenze, avrei bisogno di più informazioni, ma di certo è significativo il fenomeno e ancora più significativo il modo in cui lo si tratta. Vi propongo un piccolo gioco, scrivete su google “3.300 morti”, approssimativamente il numero di donne morte dal 2000 ad oggi. Vi comparirà un numero incredibile di notizie che riportano questo dato, ma riferite a svariati eventi, terremoti, incidenti stradali, guerre civili, battaglie, epidemie, pare che si muoia sempre in numero di 3.300 ma il minimo comune denominatore di tutte le altre stragi, perchè di stragi si tratta, è l’episodicità, i femminicidi sono invece la punta dell’iceberg di un fenomeno straordinariamente più vasto che dura da millenni, quindi come è la situazione? Terribile ovviamente, ma uno degli obiettivi di SAFE sarà proprio quello di trovare e utilizzare strumenti che ci permettano di misurare l’impatto sociale che si determina attraverso l’educazione perchè ci piacerebbe uscire con numeri diversi, con storie che parlino di cosa hanno fatto bambine/ e ragazze/i dopo essersi confrontate con le alternative che si offrono attraverso l’educazione, con narrazioni su come cambia il mondo se riusciamo ad essere presenti ogni anno in ogni scuola a portare avanti una idea di cultura che dia la possibilità di affrontare in modo diverso le relazioni. vorremmo parlare di chi è riuscita a far vergognare il compagno che ha postato le sue foto nuda invece di vergognarsi o togliersi la vita, di chi ha organizzato gruppi di autogestione per continuare a ragionare sui temi proposti, di ragazze che nominano il proprio futuro al femminile e dichiarano il proprio amore senza usare le formule del possesso, io sono tua, tu sei mia, e mille altre storie, perchè siamo convinte che il diritto a non essere uccise si impara a scuola e noi abbiamo il dovere di sostenere chi fa questo lavoro.

Quali sono le agenzie e imprese più interessate a finanziare questo progetto? Abbiamo alcune aziende molto interessate con cui stiamo sviluppando eventi di forte impatto. Gli eventi che proponiamo sono ovviamente tarati su dimensioni, mission aziendale e universo valoriale dell’impresa. abbiamo una attenzione particolare, dal punto di vista della ricerca di soluzioni, nei confronti della piccola impresa, la più radicata sul proprio territorio, ma quella che ha più difficoltà nell’attuare programmi di responsabilità sociale. le nostre proposte prevedono sempre il coinvolgimento delle/dei dipendenti, una collaborazione stretta con le comunità di riferimento. crediamo che già a partire dall’evento di raccolta fondi si possa fare sensibilizzazione dentro e fuori l’azienda. E’ un messaggio che arriva in particolare alle aziende che hanno già maturato una cultura di impresa consapevole dell’importanza di essere parte di un sistema sociale, è infatti una richiesta di condivisione, collaborazione, non di una semplice erogazione di fondi. Noi offriamo trasparenza ed economicità nella gestione delle raccolte fondi, una profonda adesione ai nostri valori e competenze e questo interessa sia le piccole che le grandi aziende e in particolare le reti di aziende che hanno bisogno anche di servizi, affidabilità e prossimità per poter elaborare le proprie strategie di responsabilità sociale.

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Lo Stato è assente secondo te? 
Le istituzioni hanno strategie e volontà spesso anche molto differenti quindi è difficile parlare di stato, sono esse stesse, in misura diversa, parte della cultura che legittima la violenza e spesso limitate da procedure che in particolare nel caso dell’educazione si rivelano poco efficienti. Credo che sia assolutamente necessario guardare al femminismo come all’unico dispositivo capace di svelare i meccanismi grazie ai quali ci siamo trasformate/i in assassine/i perchè è la cultura ad uccidere, per mano degli uomini, ma con la complicità di una intera società. il femminismo però non appare molto frequentemente nei discorsi delle istituzioni e in alcuni casi lo è solo a scopo avversativo e così ci troviamo di fronte a censure nelle biblioteche, roghi di libri, all’emendamento della parità di genere dalle materie di educazione civica e addirittura alla cancellazione degli interventi di educazione alle relazioni nelle scuole, come nel caso della provincia di trento che ha screditato il ruolo dell’Università del proprio territorio.
E’ inoltre impossibile lavorare ad una programmazione continuativa e significativa attraverso il meccanismo dei bandi che sono, anche solo temporalmente, incapaci di rispondere alle esigenze di chi deve lavorare con le scuole. credo che lo stato possa essere davvero presente innanzitutto dichiarando esplicitamente la prevenzione alla violenza contro le donne come una priorità e poi avviando un tavolo di confronto con le realtà associative che lavorano sul territorio alla ricerca di politiche più efficaci e di un impegno che sia realmente commisurato con l’esigenza di un radicale cambio culturale. Il costo della violenza contro le donne è stato calcolato in 26 miliardi di euro ogni anno per il nostro paese, il doppio del costo della manovra finanziari e circa due punti percentuali di pil, credo, con un po’ di pragmatismo rispetto alle motivazioni della politica, che pensare ad un investimento serio e significativo su questo tema potrebbe convenire economicamente e, purtroppo a lungo termine, e qui vedo l’ostacolo più grande, contribuire a raggiungere un benessere sociale capace di cambiare profondamente e positivamente la nostra società. Il fatto che dovrebbe essere considerato un dovere lo lasciamo alla fine.
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