I cartelli che vietano l'ingresso ai cinesi non sono razzismo, ma peggio: sono terrorismo psicologico
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I cartelli che vietano l'ingresso ai cinesi non sono razzismo, ma peggio: sono terrorismo psicologico

Il panico è del tutto ingiustificato: su oltre diecimila contagiati il coronavirus ha ucciso poco più di 200 persone, la maggior parte anziane e con problemi pregressi di respirazione

Cartelli contro il coronavirus
Cartelli contro il coronavirus
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Giuseppe Cassarà Modifica articolo

31 Gennaio 2020 - 17.02


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È comparso, a Roma, nel giro di poche ore dal primo, un secondo cartello che invita, con ipocrita gentilezza “chiunque provenga dalla Cina a non entrare all’interno”. Alla fine ci si scusa per il disagio, e il messaggio è anche in cinese, per non lasciare spazio a fraintendimenti.

Uno dei primi a dare la notizia è stato Enrico Mentana su Instagram. La foto però ha sollevato un vespaio, perché l’accusa di razzismo sottintesa al post del direttore del Tg La7 viene contestata, in quanto quello che stanno facendo i bar – secondo gli utenti – non è altro che prevenzione sanitaria. Inoltre, si parla di ‘chiunque venga dalla Cina’, non dei cinesi. Non si tratta quindi di razzismo, ma di semplice buonsenso, parola che in questo periodo è spesso usata per mascherare la paura.

Prima di entrare nel dettaglio, è bene chiarire un paio di cose: su oltre 10.000 contagiati, il Coronavirus ha ucciso poco più di 200 persone. Significa che il tasso di mortalità del nuovo virus è del 2%, e ad essere particolarmente vulnerabili sono le persone anziane (soprattutto uomini) o comunque con problemi pregressi di respirazione.

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La possibilità di contagio è più alta: come ha spiegato Roberto Burioni a Piazzapulita, ogni persona è in grado di contagiarne almeno 2, e lo fa via aerea, unico modo in cui si diffonde il virus (quindi il panico sui ristoranti cinesi è del tutto ingiustificato). Si è detto che i sintomi sono simili a quelli della febbre, ma non è del tutto esatto: a febbre alta, tosse e mal di testa si accompagnano difficoltà a respirare, confusione mentale e dolori muscolari. Per essere franchi, sono quasi gli stessi sintomi che intercorrono nel caso di contrazione del virus dell’HIV: è bene cautelarsi ma non correre a intasare i centri di pronto soccorso al minimo starnuto.

Tornando nel merito della questione razzismo: oltre agli evidenti casi di sinofobia, ossia la paura delle persone cinesi, comportamenti come questi non fanno che alimentare il panico, cosa che è esattamente l’olio che avvia la macchina della paura e della pandemia. Il virus è arrivato in Italia, e il nostro sistema sanitario si è attivato. È chiaro che occorre essere cauti, ma cartelli come questi non sono razzisti, sono peggio: sono terroristi. Significa ingigantire un’emergenza che invece va trattata con freddezza e lucidità. Lo stesso tipo di panico si era diffuso per la Sars, malattia dimenticata poi in fretta.

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Ma soprattutto, come sempre, bisogna sempre ricordare che il Coronavirus è scoppiato in Cina ma poteva scoppiare ovunque. E se il nuovo virus si fosse sviluppato in Italia, non farebbe certo piacere vedere in giro per il mondo un proliferare di cartelli ‘vietato l’ingresso agli untori italiani’.

Stanno morendo delle persone, e sono tutte – ripeto, tutte – cinesi. Gli unici che avrebbero diritto ad essere preoccupati sono i cittadini di quel paese, che non hanno colpa se si sono trovati in Italia: il virus ha un periodo di incubazione di 14 giorni, e la coppia di turisti risultata positiva a Roma era qui da prima che l’emergenza risultasse così grave, da prima che i giornali cominciassero a interessarsi alla notizia (sull’inutilità di pubblicare le foto dei due signori contagiati non spreco parole: quello non è giornalismo, è semplice idiozia). Non sapevano di essere malati, non avrebbero potuto saperlo. Non hanno colpe.

Di fronte a quella che già viene dipinta come l’Apocalisse da qualche imbecille sul web, la società civile dotata di intelligenza dovrebbe reagire con solidarietà. Come sempre comunque, noi italiani (e i romani, in particolare) sono stati i primi in Europa a esporre i cartelli, nel pieno centro di Roma, noncuranti del pubblico ludibrio e della vergogna internazionale. Da tempo l’Italia e gli italiani hanno dimenticato cosa sia la vergogna, aiutati certo da una certa politica che riesce a fare misera propaganda anche sulla salute delle persone.

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Come al solito, anche in questa occasione, l’Italia ha perso l’occasione di dimostrarsi migliore di come ormai appare agli occhi di chi viene a visitare le nostre città: gretta, egoista, e ipocrita.

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