Un giorno racconteremo:”Era venerdì 27 marzo, eravamo nel 2020, e l’Italia e il mondo vivevano nella paura di un virus che faceva morti a migliaia. Quel giorno – erano le sei del pomeriggio – il cielo di Roma era di un inedito blu, piazza San Pietro era vuota, si sentivano soltanto le parole dure, gravi, pesanti di un Papa malfermo e addolorato. E la colonna sonora di una preghiera globale che mai avremmo pensato era la pioggia battente. Non lontano, il passaggio di una sirena dietro l’altra a ricordarci sofferenze e lutti. E poi, loro, i gabbiani, padroni di una città deserta e impaurita”.
Se il cielo sopra Roma voleva mandarci un messaggio, lo ha scritto chiaro, inequivocabile. Storico pomeriggio, un evento, fino a poco tempo fa incredibile passaggio dell’umanità, pagina della nostra storia che, lo si voglia o no, cambierà il mondo, sperando che non lo rimpicciolosca tanto. Passaggio che ci impone di cambiare, ridisegnare i nostri valori, recuperando e ricostruendo quelli che avevamo sotterrato, con cumuli di egoismo e irresponsabile faciloneria, ubriachi di modelli fasulli. Dopo egoismi e posticce onnipotenze, ci ritroviamo fragilissimi. E le parole del Papa da questa inedita piazza San Pietro ce lo ha ricordato, con durezza, parlando mentre infuria una tempesta che smaschera la nostra vulnerabilità, esalta quelle sicurezze nascoste con cui abbiamo costruito – ci ha ricordato Francesco – “le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità”.
Parole tutte pesate quelle del Papa che muove da quel “Perchè avete paura” risuonate tra fulmini, saette e onde alte del lago di Tiberiade. “La tempesta – leggeva Francesco, accpompagnato dalle note della pioggia – pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità”.
Ed ci ha incalzato il Papa, con parole che vanno lette e rilette, per prendere coscienza del tanto che abbiamo sbagliato, della strada che dovremo discegnare per non incontrare altre rovinose tempeste:”Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella benedetta appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci, l’appartenenza come fratelli. Siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta…non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”.
Ora, siamo in mezzo ad un mare agitato, ed abbiamo paura. E Francesco implora il Signore per noi tutti, credenti e non. Perchè faccia cessare la tempesta, e la Madonna, stella maris, perchè vegli su questa ciurma disordinata che si è dimostrata l’umanità.
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