Torino, 10 di sera. Silenzio tombale, per le strade non gira nessuno. Stanno tutti in casa, chi a vedere Netflix, chi a fare dirette, chi ad annoiarsi. Le vie del capoluogo piemontese, come quelle di tutte le principali città italiane soffocate dalla pandemia sono in mano ai rider: con i grandi cubi colorati sulle spalle, sfrecciano in bicicletta o motorino per consegnare cibo a chi si è stufato di sfornare pizze fai-da-te. Eccetto la Campania, unica Regione dove per volere di De Luca anche questo servizio (unica boccata d’ossigeno per i ristoranti altrimenti privi di risorse) è stato vietato senza particolari ragioni, per le app di consegne a domicilio, da Glovo a Deliveroo questo è un periodo d’oro.
Lo è un po’ meno per i rider, ovviamente. Nella stragrande maggioranza dei casi ragazzi immigrati senza permesso di soggiorno, questi dispensatori di cibo non sono inseriti nella quotidiana lista degli ‘eroi’ italiani, che al momento comprende medici, infermieri, benzinai, cassieri, panettieri, spazzini, giornalai. E in tempi di pandemia si rischia grosso, specie nell’Italia intrappolata nella morsa dei decreti che ci costringono a casa e ci vietano di uscire. Decreti che hanno dato alle forze dell’ordine molto potere, forse troppo.
Anche se è più corretto dire che se lo sono presi, il potere: nei decreti si legge testualmente: “è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative” (art. 1, comma b); e poi, al comma f: “è sempre consentita l’attività di produzione, trasporto, commercializzazione e consegna di farmaci, tecnologia sanitaria e dispositivi medico-chirurgici nonché di prodotti agricoli e alimentari”.
Va da sé che i rider rientrano perfettamente in questa categoria. Eppure ciò non ha impedito, ieri sera, nel silenzio di Torino, a due carabinieri di fare una multa di 4000 euro a un rider di nome Marwen. È circa lo stipendio che un rider guadagna in un anno, e a nulla sono servite le rimostranze di Marwen, nulla dimostrava il cubo giallo con scritto Glovo sulle sue spalle, né l’impossibilità per Marwen di mostrare l’indirizzo del suo ultimo cliente, perché Glovo questi dati – giustamente – li cancella a consegna effettuata. Bastava una ricerca su Google per avere una conferma. Ma i due zelanti poliziotti hanno deciso di appioppare una multa che Marwen non sarà mai in grado di pagare.
Da poliziotti a sceriffi il passo è breve, specie se in questo momento le città italiane assomigliano al Far West. Non c’è un inquadramento preciso e, più o meno come succede con la gestione dell’emergenza sanitaria, ognuno interpreta i decreti come meglio gli aggrada. E questo vuol dire che ogni agente in divisa diventa giudice di ogni situazione: a lui spetta decidere se una violazione è grave oppure non lo è. Quella di Marwen lo era, come lo era quella del ragazzo di 26 anni (di origine cubana. Bisognerebbe anche considerare l’elemento razzista) picchiato ieri da due finanzieri vicino Firenze. Ora è partita un’indagine, un video testimonia la brutalità della polizia che è ricorsa alle mani per quella che rimane, a conti fatti, una contravvenzione, ma episodi come questo stanno accadendo con una frequenza preoccupante, accompagnata tra l’altro da un’accondiscendenza del pubblico dei balconi, che plaude chi punisce coloro che non stanno in casa. Poco importa se chi esce, come dimostrano tutti i dati, lo fa nella maggioranza dei casi per validi motivi. Per l’italiano al balcone la sofferenza è sopportabile solo se condivisa, e quindi via di delazioni, denunce e commenti agghiaccianti sotto le notizie che raccontano di qualche passeggiatore solitario pizzicato dalla polizia in elicottero.
Come ha ricordato ieri Stefano Massini a Piazzapulita, nel suo ricordo dello scrittore scomparso Luis Sepulveda, l’art. 13 della nostra Costituzione rende inviolabile la libertà personale. L’emergenza non può cancellare il diritto, né di contro può dare la possibilità alle forze dell’ordine di inventarsi nuovi modi per punirci. I decreti ci sono, la legge è chiara, e la polizia è un tutore della legge, non il braccio armato dello Stato. Almeno per ora. E per evitare che qualcuno ci prenda un po’ troppo gusto a fare lo sceriffo, serve quanto prima una dura risposta del Viminale, che dia una regolata alle teste calde. E agli italiani, un consiglio: i balconi usateli per guardare il cielo, non per spiare i vicini.
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