Ci prepariamo a ricordare Falcone e Borsellino nel peggiore dei modi. E la mafia ringrazia

Scrivo perché ho fatto il conto che tra due settimane ci ritroveremo a ricordare il 23 maggio, con Falcone che salta in aria appena rientrato a Palermo da Roma.

Borsellino e Falcone
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

8 Maggio 2020 - 19.11


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Quando inizio a scrivere queste due brevi considerazioni sono le 17 e 57, stessa ora della strage di Capaci. Scrivo perchè ho fatto il conto che tra due settimane ci ritroveremo a ricordare il 23 maggio, con Falcone che salta in aria appena rientrato a Palermo da Roma.
Sono passati tanti, troppi anni, e il tempo gioca sempre contro la memoria e la verità, come volevano chi fece ammazzare Falcone e poi Borsellino, il secondo colpevole di aver legato il suo destino alla verità sulla strage di Capaci. Verità che aveva in mano, scottante, devastante. Quest’anno l’emergenza legata alla pandemia probabilmente ci risparmierà qualche cerimonia, qualche stanco rito.
Questo dovrebbe favorire un modo diverso di farci ricordare Falcone e Borsellino, due magistrati assai diversi tra loro, ma con una intesa straordinaria favorita dalla fede comune nella legalità.
Si misero di traverso a chi voleva “uno Stato-mafia, dove la presenza del potere criminale stragista doveva essere dominante”, ha ricordato Giancarlo Caselli in una lontana intervista a Repubblica nella quale ricostruiva il “tradimento” a Falcone che si consumò nel Consiglio Superiore della Magistratura, la strage, il lavoro che lo attese a Palermo, il pentimento di Di Matteo che alla strage aveva partecipato e che Capaci raccontò. E i veleni e quei corvi sul cielo di Palermo e di Roma. E l’amarezza di Falcone bocciato come capo dell’Ufficio Istruzione, e la vergogna dello stesso Caselli che era in quel CSM e voleva Falcone contro il parere di una maggioranza determinatissima a contrastarlo, a bocciarlo, a premiare un candidato che fece della bocciatura dei metodi di Falcone un biglietto da visita. Ci sarebbero stati e ci sarebbero tanti modi per ricordare Falcone e poi Borsellino. Non certo ricordarli nel modo e nell’atmosfera che si annuncia. Quest’anno il 23 maggio cadrà nel mezzo di una profonda crisi del Paese e della giustizia. Giustizia dilaniata da una querelle che appare squallida, al di là delle (non)ragioni dei due contendenti entrati entrambi a gamba tesa.
L’uno e l’altro Bonafede e Di Matteo, da cartellino rosso. Sullo sfondo, boss che escono e che forse rientrano. Il loro scomposto passaggio in un talk televisivo dedito all’urlo di piazza è apparso distante mille e mille miglia da quei due uomini che si parlavano sottovoce e con parole d’intesa nell’ormai celebre foto di Tony Gentile. Davvero orrida vigilia per onorare quell’estate del’92… Orrida e cupa, perchè in questi giorni il cielo sopra Palermo inganna; inganna il blu profondo delle notti che annunciano l’estate, inganna la zagara che scavalca i muri di cinta dei giardini, inganna il silenzio dell’iorestoacasa. Sotto le stelle di maggio Palermo è una polveriera.
Forse come mai è accaduto. E’ di oggi l’allarme del Viminale: il welfare della mafia bussa alle porte dei più bisognosi. E in effetti, le imprese boccheggiano, tutto è fermo, tutto è maledettamente più difficile di ieri, i soldi che le banche avrebbero dovuto dare a chi è in difficolta restano in cassaforte, tarda la cassa integrazione e gli imprenditori onesti continuano a pagare lo stesso gli operai dei quali conoscono i bisogni. E sotto imprese ed operai tutto un mondo precario a vita per fare felice la mafia, alla quale basta un boccone per comprarsi le vite degli altri. Da Palermo, mio figlio mi racconta “Non ho mai visto tanta gente in fila davanti al Banco dei Pegni”.
Il suo balcone si affaccia sull’ingresso e non gli era mai capitato di contare decine e decine di uomini e donne in attesa di disfarsi di quel che sono riusciti a racimolare nel cassettone, al collo dei figli. Arrivano di buonora, per pudore, ma la fila allunga le attese e viola la privacy. Un mondo (im)perfetto per invitare a pranzo la mafia. Racconteremo che correva l’anno 2020, ed eravamo ventotto anni dopo Capaci.

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