“Un libro di Washington Irving racconta la storia di un uomo che si addormenta sotto un albero per 20 anni e al suo risveglio non riesce più a riconoscere il mondo. Ecco, è così che mi sento” dice Stefano Massini nel suo monologo a Piazzapulita.
“Non riesco a riconoscere più il mondo. Sarà per questo che sono impaurito e infelice. Ma perché è crollata così la felicità? David Foster Wallace, nel suo capolavoro ‘Una cosa divertente che non farò mai più’, racconta uno stato d’animo contraddittorio: sulla nave da crociera dove si trova, scrive, “tutto è fatto perché io sia felice, ma io non lo sono. Anzi, non sono mai stato tanto disperato”.
La felicità non è ‘fare cose felici’. La felicità è progettare la felicità. Ed è questo che il virus ci ha tolto: la possibilità di fare progetti. La felicità è attesa, è costruzione di cose belle, più che il viverle. Il punto è che fra tanti scrittori ce n’è uno, Borges, che diceva che ‘un solo compromesso è veramente terribile, quello con la nostra infelicità’. Io non sono disposto ad accontentarmi, io voglio ambire al meglio. Io voglio godermela la vita, perché ho solo quella. La mia voglia di felicità non sarà contagiata.
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