Giuseppe Stalin poteva anche chiedersi di quante divisioni disponesse il Papa. A quel tempo infatti la Chiesa cattolica era obbligatoriamente incardinata in un blocco e quindi l’infondata ironia del leader sovietico poteva avere una sua “legittimità”.
Ma da quando è caduto il muro di Berlino e con esso il blocco sovietico non è più così, e l’ironia stalinista appare non cogliere la nuova realtà che si apre davanti al Vaticano.
La Chiesa cattolica non è più incardinata in blocchi, in un certo senso si può dire che ha le mani libere e può definirsi, almeno per quanto riguarda il vescovo di Roma, davvero con le mani libere, ovunque.
Non è un caso che sulla cattedra di Pietro sieda un figlio del sud del mondo, l’argentino Jorge Mario Bergoglio. Figlio di una famiglia di migranti italiani giunti a Buenos Aires dal Piemonte, Bergoglio incarna un cattolicesimo passato coerentemente e coraggiosamente all’opposizione di ogni ordine sociale ingiusto.
Non è un caso che recentemente abbia affermato che nella teologia della liberazione ci fosse molto di sano e di giusto, al di là delle strumentalizzazione marxiste. Ecco perché Francesco può guardare a quanto accade oggi nelle piazze di tante città, di tanti Paesi del nord, del sud e dell’est con lo sguardo partecipe e facendo vedere che ha davvero le mani libere.
Era appena stato eletto Pontefice, nel 2013, quando scrisse, al punto 75, nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium: “In molte parti del mondo, le città sono scenari di protesta di massa di migliaia di abitanti che reclamano libertà, partecipazione, giustizia e varie rivendicazioni che, se non vengono adeguatamente interpretate, non si potranno mettere a tacere con la forza.” Parlava di Beirut? parlava di Minsk? Parlava di Hong Kong? O parlava di Washington, New York e tantissime altre città americane? O forse parlava di Santiago del Cile?
Io credo che parlasse di tutte queste città, e di tante altre che insieme a queste attendevano da tempo una guida morale che incarnasse i loro valori e rispecchiasse le loro attese di fratellanza, di cittadinanza. Ecco perché non sorprende proprio che oggi, dopo l’Angelus, Francesco abbia rivolto il suo pensiero alle “numerose manifestazioni popolari di protesta che esprimono il crescente disagio della società civile di fronte a situazioni politiche e sociali di particolare criticità”.
Mentre esortava i dimostranti a far presenti le loro istanze in forma pacifica, senza cedere alla tentazione dell’aggressività e della violenza, ha anche fatto appello “a tutti coloro che hanno responsabilità pubbliche e di governo di ascoltare la voce dei loro concittadini e di venire incontro alle loro giuste aspirazioni assicurando il pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà civili.” Francesco si è ovviamente rivolto anche alle comunità ecclesiali che vivono in tali contesti perché i pastori si adoperino “in favore del dialogo e in favore della riconciliazione”. Riconciliazione, è questa la parola chiave per capire questo papa e il suo rapporto con queste piazze, che al di là di ogni confine tra est e ovest, nord e sud, costituiscono l’anima del vero “movimento Bergoglio”.