Virginia Raggi è stata assolta dall’accusa di falso in atto pubblico dalla corte d’appello di Roma nel processo legato alla nomina di Renato Marra, fratello di Raffaele (all’epoca capo del Personale in Campidoglio), a capo della Direzione Turismo.
Confermata la sentenza del tribunale che il 10 novembre del 2018 assolse la sindaca con la formula ‘perché il fatto non costituisce reato’.
Per la sindaca di Roma applausi e lacrime hanno accompagnato la sentenza della corte d’appello.
Alla lettura del dispositivo, Raggi ha abbracciato il marito e poi si è congratulata con i suoi difensori, gli avvocati Pierfrancesco Bruno, Emiliano Fasulo e Alessandro Mancori, quest’ultimo visibilmente commosso.
“Questa è una mia vittoria e del mio staff, delle persone che mi sono state a fianco in questi quattro lunghi anni di solitudine politica ma non umana. Credo che debbano riflettere in tanti, anche e soprattutto all’interno del MoVimento 5 Stelle”. È il primo commento rilasciato dalla sindaca Virginia Raggi, appena assolta dalla corte d’appello.
“Ora è troppo facile voler provare a salire sul carro del vincitore con parole di circostanza dopo anni di silenzio – aggiunge -. Chi ha la coscienza a posto non si offenderà per queste parole ma tanti altri almeno oggi abbiamo la decenza di tacere. Se vogliono dire o fare qualcosa realmente, facciano arrivare risorse e gli strumenti per utilizzarle ai romani e alla mia città. C’e’ una legge di bilancio per dimostrare con i fatti di voler fare politica. Il resto sono chiacchiere”, conclude la sindaca.
Il sostituto procuratore generale Emma D’Ortona aveva chiesto dieci mesi di reclusione al processo d’Appello per falso in relazione alla nomina (poi ritirata) nell’autunno del 2016 di Renato Marra a capo del Dipartimento Turismo del Campidoglio.
“La sindaca conosceva la posizione di Raffaele Marra, e ha omesso di garantire l’obbligo che Marra si astenesse nella nomina del fratello Renato” aveva detto il pg nella sua requisitoria.
“Ha errato il primo giudice nel voler trasformare un’indagine documentale in un processo fondato su prove dichiarative” ha aggiunto il procuratore generale che aveva chiesto la condanna della sindaca, assolta anche in primo grado con la formula “perché il fatto non costituisce reato”.
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