Sono ancora tante le cose da fare per evitare questa strage che va in scena ogni giorno sotto gli occhi di tutti: in un paese che si rispetti l’educazione culturale e del rispetto dei sessi dovrebbe essere al primo posto.
Alessandra Zorzin, 21 anni e con una figlia di 2, è solo l’ultima vittima in ordine di tempo.
Un femminicidio al giorno nell’ultima settimana, 50 da inizio 2021.
Per la criminologa Flaminia Bolzan dietro c’è “l’incapacità da parte dell’uomo – che sia uno spasimante, un marito, un fidanzato o un ex – di gestire gli stati emotivi, la frustrazione, anche nell’ambito familiare”, spiega.
“Mentre in alcuni casi ci sono degli aspetti psicopatologici reali, in altre situazioni una persona considerata ‘normale’ agisce però in relazione a una concezione in generale del femminile diversa, figlia di una cultura abbastanza maschilista, che si esprime nella prevaricazione della donna. La motivazione – prosegue – è data dall’impossibilità di gestire adeguatamente il rifiuto di una donna che, come un presunto cattivo comportamento, viene percepito come lesa maestà e arma la mano”.
“Non parlerei di debolezza o insicurezza, perché potrebbero sembrare quasi attenuanti per chi compie io delitto – sottolinea la criminologa – è evidente piuttosto un aspetto di problematicità e incapacità nel gestire le emozioni. Nella maggior parte dei casi siamo di fronte ad aspetti di problematicità ormai molto gravi di gestione della frustrazione, implementati sicuramente dai tempi, da aspetti contestuali e poi anche da una grandissima attenzione mediatica. Oggi si parla tanto di più dei reati di genere, sono stati fatti interventi anche normativi importanti. Stiamo lavorando tutti per arrivare a un decremento del fenomeno, da una parte sotto il profilo della sanzione con l’introduzione del codice rosso, dall’altra investendo sulla prevenzione, scardinando gli effetti culturali che possono influire, partendo dai bambini, dai ragazzi, parlando nelle scuole. Sono azioni che vanno progettate, studiate, fatte con criterio. Metabolizzare un rifiuto o un abbandono, significa ‘allenarsi’ a farlo fin quando si è piccoli”.
Fattore molto frequente, non di rado, tra le vittime dei femminicidi è, tuttavia, la mancata denuncia di quelli che si riveleranno poi i loro assassini. “Le motivazioni possono essere di due tipi – spiega Bolzan – la sottostima dell’entità del pericolo che magari il segnale può rappresentare, quindi una malcelata tendenza alla giustificazione di alcuni comportamenti che vengono percepiti come non rilevanti, e dall’altra l’insufficienza in alcuni casi dell’intervento istituzionale”.
“Il dilagare dei femminicidi negli ultimi tempi oltre a sottolineare la drammaticità estrema del fatto in sé, rivela diverse emergenze: la violenza che rimane, in certi contesti, un modello sociale e culturale che non si riesce a sradicare; la mancanza di attenzione verso richieste d’aiuto che precedono un epilogo tanto terribile, sia a livello familiare sia istituzionale, e infine la mancata comprensione del concetto di parità di genere, un deficit che vede la donna come un oggetto destinato all’eliminazione quando non rispetta quella gerarchia di ruoli sopracitata. Processi educativi e sanzioni dovrebbero essere realtà che in questo senso procedono di pari passo”. Lo dice Marino D’Amore, criminologo e sociologo.
“Il fatto che negli ultimi giorni i media abbiano raccontato un’escalation di questo fenomeno – prosegue – ci rivela come questa aberrazione si confonda con la quotidianità in cui un’azione già irrazionale e violenza di per sé venga posta in essere in seguito a una lite domestica o peggio ancora davanti ai propri figli la cui psiche resterà segnata a vita da quell’evento. Il fatto che gli autori di tali atti si costituiscano non deve far pensare a una redenzione o a un pentimento, anzi manifesta il reale ridimensionamento della gravità degli atti stessi, come una sorta di attribuzione di responsabilità che conferma il modello e i ruoli spiegati prima”.
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