Alejandro Stephan Meran, l’uomo accusato del duplice omicidio di due poliziotti, Pierluigi Riotta e Matteo Demenego, uccisi nell’ottobre del 2019. Al 32enne di origine domenicana la corte ha riconosciuto il “vizio totale di mente”, ha revocato la misura e stabilito il trasferimento dal carcere di Verona in una Rems, ossia una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza dove dovrà restare per 30 anni, vista la pericolosità e la necessità di cure specifiche.
Accusa e difesa hanno ricordato, negli interventi in aula, le conclusioni della perizia redatta da Stefano Ferracuti, professore di Psicopatologia forense alla Sapienza di Roma, incaricato dalla stessa corte di effettuare una nuova perizia psichiatrica, la secondo dopo quella ‘controversa’ richiesta dal gip Massimo Tomassini. Secondo l’esperto, Meran “era, all’epoca dei fatti e a tutt’oggi, affetto da schizofrenia, di gravità severa, con episodi multipli”.
Quando ha agito l’ha fatto “all’interno di una condizione mentale caratterizzata da un delirio persecutorio, di pregiudizio e di onnipotenza, ponendosi in nesso di causalità diretto con la patologia psicotica in atto e tale da escludere totalmente la capacità di volere”. Meran, accompagnato dal fratello, quel giorno si trovava in questura per rispondere del furto di uno scooter.
Spaventato e alterato chiese di andare in bagno, quindi riuscì a impossessarsi della pistola d’ordinanza di Pierluigi Rotta, 34enne originario di Pozzuoli, e gli sparò tre volte; poi fece fuoco quattro volte contro l’agente scelto Matteo Demenego, 31 anni originario di Velletri, intervenuto per soccorrere il collega.
Sparò ancora e ferì altri agenti (sette i tentati omicidi nel capo di accusa) nel tentativo di fuga che finì a pochi passi dall’uscita della questura. Descritto dagli psichiatri come un “gigante con i piedi d’argilla”, il suo passato è fatto di abusi, di consumo di marijuana ed episodi controversi fino al ricovero psichiatrico in Germania nel 2018 resosi necessario dopo che aveva sfondato, alla guida di un’auto, una barriera di protezione dell’aeroporto di Monaco ed era salito su un aereo chiedendo di raggiungere il Brasile. Un campanello d’allarme poi rimasto inascoltato, fino al giorno della strage.