Il fine vita dovrebbe essere tra le priorità di qualsiasi governo, mentre nessuno negli ultimi anni si è voluto prendere carico di un argomento così determinante per stabilire la civiltà di un Paese. E il governo Meloni non è di certo da meno. L’ultimo caso, l’ultimo appello, è quello di Massimiliano, 44 anni, toscano, affetto da sclerosi multipla da 6 anni, che in un video spiega le ragioni per cui vorrebbe porre fine alle sue sofferenze in Italia, senza dover andare all’estero.
Massimiliano, infatti, non è «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale», quindi, non rientra nei casi previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato\Dj Fabo per l’accesso al suicidio assistito in Italia. Nel nostro paese, proprio dopo la disobbedienza civile di Cappato per l’aiuto fornito a Fabiano Antoniani e quindi la sentenza 242 della Corte costituzionale che ha valore di legge, il suicidio assistito è possibile e legale quando la persona malata che ne fa richiesta è affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli e tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e queste condizioni siano state verificate dal SSN. Requisiti sussistenti e verificati per Federico Carboni che lo scorso giugno ha invece potuto accedere al suicidio assistito senza che l’aiuto fornito configurasse reato.
Le parole di Massimiliano, detto Mib, in un video nel quale appare accanto al padre, pronto a rispettare la sua scelta come gli altri familiari e amici: «Mi chiamo Mib, e a 44 anni vorrei essere aiutato a morire a casa mia. Da 6 anni soffro di una sclerosi multipla che mi ha già paralizzato. Posso muovermi solo in sedia a rotelle con l’aiuto di qualcuno. Non sono più autonomo in niente, non posso più alzarmi dal letto o andare in bagno da solo. La malattia progredisce e peggiora giorno dopo giorno. Riesco ancora a muovere il braccio destro, ma mi sta abbandonando pure lui, non ha più presa.
«Mi sento intrappolato in un corpo che non funziona più, una macchina rotta. Se non avessi paura del dolore, anche di una semplice puntura, avrei già provato a togliermi la vita più di un anno fa. Per questo vorrei essere aiutato a morire senza soffrire in Italia, ma non posso, perché non dipendo da trattamenti vitali. Sto pensando di andare in un altro Paese. Tutte le persone che mi vogliono bene rispettano questa scelta. I miei amici, le mie sorelle anche mio padre. Fratelli di questa Italia, io non credo più in questo Stato. Se voi ci credete, fate qualcosa».
Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, ha dichiarato: «Dopo l’accompagnamento di Romano e la mia autodenuncia, i capi dei Partiti e i rappresentanti del Governo hanno scelto la strada del silenzio assoluto, forse nella speranza che noi prima o poi ci fermeremo o che la questione possa essere spazzata sotto il tappeto. Noi invece andiamo avanti. Insieme agli altri componenti dell’Associazione Soccorso civile -Mina Welby e Gustavo Fraticelli- chiediamo la partecipazione di altre persone che si vogliano assumere la responsabilità di aiutare chi chiede di interrompere la tortura di Stato nei loro confronti».