Sono una cinquantina, dal più piccolo che ha pochi mesi di vita, al più grande che di anni ne ha cinque. Una decina sono senza scarpe, tutti o quasi indossano vestiti leggerissimi, primaverili o estivi, e non hanno nessun ricambio. Sono nel saturo hotspot di Lampedusa.
Chi li assiste si fa in quattro, gli operatori della struttura di primissima accoglienza fanno quel che possono, ma le esigenze dei più piccoli restano lì, ad accusarci. Mancano le scarpe, ma anche le tute, abbigliamento che consenta loro di stare al caldo. Sì, il calendario dice che è primavera ma soprattutto la sera continua il freddo pungente.
“La sera c’è freddo, molto spesso anche vento”, raccontano gli operatori dell’hotspot. I più piccoli vengono sistemati, assieme ai genitori, dentro i padiglioni. Ma una struttura che dovrebbe ospitare al massimo 400 persone, adesso scoppia e sono gli stessi genitori a scegliere di stare all’esterno, magari riparandosi sotto le fronde di un albero. Le cose cambiano di giorno, il sole batte, si deve cercare riparo, anche immergendosi nella folla delle strutture al coperto. Quello dei minori, dei più piccoli, è un problema nel problema. E agli operatori di Lampedusa si stringe il cuore.
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