Il caso di Emanuela Orlandi, la giovane romana rapita nel giugno del 1983, è tornato d’attualità dopo il primo “storico” incontro tra il fratello Pietro e il Promotore di Giustizia della città del Vaticano. Un incontro durato quasi 8 ore e che è servito a Pietro Orlandi per raccontare tutte le informazioni in questi lunghi 40 anni di silenzio. Il quotidiano Avvenire, voce della Cei, con un editoriale a firma Angelo Scelzo critica duramente le posizioni espresse da Pietro Orlandi, anche nelle sue recenti uscite televisive.
«Occorre avere il coraggio di dire che per questa strada la verità può solo restare lontana. E poi: il rispetto che si deve a Pietro Orlandi, non può che comprendere anche il rammarico e il vero e proprio dolore che continuano a provocare alcune sue parole, fondate sui `si dice´ e su congetture senza il minimo dei riscontri».
L’obiettivo del quotidiano cattolico è quello di sminuire il presunto coinvolgimento, come riferito da Orlandi, di Papa Woijtyla. «Nei suoi interventi è stato via via sempre più esplicito, fino a dichiarare di aver sentito dire che `Wojtyla ogni tanto la sera usciva con due monsignori polacchi´ aggiungendo che `non andava certo a benedire le case´. Non basta. È stata fatta riascoltare una registrazione audio in cui il coinvolgimento del Papa veniva assicurato da un componente della famigerata Banda della Magliana».
«Una registrazione choc, con un’interruzione dai contenuti irriferibili, che Pietro Orlandi ha detto di aver consegnato al promotore di giustizia del Vaticano, in una lunghissima deposizione, nella sua forma integrale. A corredo di affermazioni così sconvolgenti e tutte incentrate sulle responsabilità di san Giovanni Paolo II, Pietro Orlandi ha anche sostenuto che, per ammissione comune, nel 1983 la pedofilia in Vaticano era praticamente accettata. Un gendarme, anzi, gli avrebbe confidato, subito dopo il rapimento, di aver sondato `quei tre o quattro cardinali´ di cui si sapeva che avessero il `vizietto´, per attingere qualche informazione utile».
«Proprio a causa della loro enormità, queste affermazioni hanno guadagnato una più che scontata ribalta. Ma a questo punto, quando la ricerca della verità sembra allungare il passo, si fa più urgente la necessità di una verifica a tutto campo anche sulle modalità in cui essa viene ricercata e allo stesso tempo `offerta´». E aggiunge: «pur di fronte all’ammirevole dedizione e all’incessante impegno del fratello di Emanuela e dei suoi collaboratori – e di tutti coloro ai quali sta a cuore la ricerca della verità -, non è possibile accettare che in questa fatica trovino posto i `si dice´ o abbiano spazio affermazioni per non dire altro surreali, secondo cui `in Vaticano nel 1983 la pedofilia non era considerata reato´».
«Non è solo il fatto che sotto accusa sia messo un Papa, riconosciuto Santo (che non è affatto poco). Ma se le prove sono quelle esibite, è la memoria di Wojtyla ad essere ingiustamente infangata. I diritti che giustamente si riconoscono a un uomo provato per la misteriosa scomparsa della sorella, non possono essere in qualche modo sottratti al buon nome (non si dice alla santità) di una persona che non può difendersi da accuse così infamanti. Non occorre, anzi appare addirittura banale, ricordare la figura di un gigante della Chiesa e della storia, un Papa amatissimo per restare esterrefatti e sconcertati di fronte ad affermazioni di così grave portata».