"Farm Cultural Park": il miracolo di Favara nonostante la piovra mafiosa che incombe ancora

A Favara c'è una amministrazione di sinistra che è riuscita a fare buone cose. Ma la presenza mafiosa si fa ancora sentire, come ha confermato l'ex boss Giuseppe Quaranta

"Farm Cultural Park": il miracolo di Favara nonostante la piovra mafiosa che incombe ancora
La Farm Cultural Park a Favara
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

3 Maggio 2023 - 17.19


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“Allora, a Favara l’usanza di fare pagare il pizzo ai negozi non esiste, per un semplice motivo: perché a Favara, diciamo, c’è il negoziante che è parente del parente, cugino del cugino e conosce qualcuno di Cosa Nostra…A Favara questa “legge” di fare pagare il pizzo ai commercianti, ai negozianti…non esiste”.

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Era metà aprile, a parlare era un collaboratore di giustizia di un certo peso, Giuseppe Quaranta. Non un gregario, ma uno col passato di capo mafia. Lo diceva deponendo al processo scaturito dall’operazione “Mosaico”. Storia di una lunga faida che ha provocato cinque morti e almeno una decina di agguati. Il processo ricostruisce le pagine buie, le dinamiche mafiose nella città di cui Quaranta è stato capomafia. Un pugno allo stomaco, l’occasione per interrogarsi, per moltiplicare gli sforzi sulla strada della legalità.   

   Quindi, racconta l’ex capomafia, Favara è città pizzo free, non per una generale rivolta alle vessazioni ma perché, a detta dell’ex capomafia, a Favara tutti i commercianti, in un modo o nell’altro, arrivano ad una copertura che li può esentare dal pagare la “tassa” alla mafia. Una dichiarazione esplosiva, che avrebbe dovuto far sobbalzare il paese intero, paese di contraddizioni ma anche di tradizioni, alcune non invidiabili (qui Giovanni Brusca trovò preziosi complici nella latitanza), ma anche di quelle legate al lavoro e alla cultura.

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Lotte contadine, la durissima vita in miniera. Radici, queste, che hanno trovato spazio per rinascere ed imporsi, spazzare ombre. Tra chiari e scuri, gli elementi chiari dell’oggi di Favara sono una buona amministrazione, miracolosamente di sinistra, in un quadro generale tendente a destra, e la “Farm Cultural Park”, anche questo un miracolo, una realtà culturale che ha messo solide radici, conosciuta e riconosciuta come modello nel mondo intero, attrazione per artisti che qui arrivano da ogni continente.

I lati oscuri sono queste defaillance, la timidezza di un sussulto significativo di fronte, per esempio, a una denuncia di dimensioni inquietanti come quella fatta da un collaboratore di giustizia ritenuto attendibile e riconosciuto come profondo conoscitore dei fatti.  C’è ancora da fare, dunque, quella denuncia di metà aprile avrebbe richiesto e richiederebbe una applicazione diversa e profonda da parte dell’amministrazione, delle forze culturali del paese, da parte dei commercianti sani. Dovrebbero farsi avanti e dire: io non pago, e basta. Io non ho “coperture”. La città buona c’è e si dovrebbe fare avanti con forza attorno a queste opacità, per cancellarle e imporre l’altra Favara, quella creativa e laboriosa.       

 Torniamo alle parole in aula dell’ex capomafia: “Quelli che pagano il pizzo – ha raccontato Quaranta – quelli che vengono già “messi a posto” dalla loro sede sono i supermercati”, e ne cita un paio. “Messi a posto”, precisa “già dal paese di provenienza”. Tradotto potrebbe voler dire che il pizzo lo pagano lì dove le società hanno sede, prima di espandersi.

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Secondo Quaranta, invece, la mafia locale aiuta l’imprenditore del paese quando  questo decide di operare su altra piazza. Lo aiuta a non pagare, o quanto meno ad avere uno sconto, a pagare di meno. Precisa Quaranta:”Tipo, gli diciamo “questo è un imprenditore vicino a noi, a Cosa Nostra di Favara, non ti dà il due per cento, il tre per cento dell’importo del lavoro però ti fa un “vioro”, un regalo…Però, se hai bisogno di fare lavorare qualcuno, qualche mezzo…”. Qui, tanta strada è stata fatta, tanta altra resta da fare.

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