Il mio ritorno a Faenza dov'è come se fosse passata la guerra

Sono andato a Faenza, la città dove ho vissuto vent’anni. Le immagini per quanto drammatiche non rendono la dimensione esatta della catastrofe

Il mio ritorno a Faenza dov'è come se fosse passata la guerra
Alluvione a Faenza
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Claudio Visani Modifica articolo

23 Maggio 2023 - 21.55


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Vado, non vado. Vado. Oggi mi sono deciso, sono tornato nella mia Romagna ferita. Sono andato a Faenza, la città dove ho vissuto vent’anni. Avevo seguito sui media e nei social le immagini e i video delle due alluvioni di inizio maggio e di una settimana fa ma, credetemi, quelle immagini per quanto drammatiche non rendono la dimensione esatta della catastrofe. La realtà, dal vivo, è molto peggio. E ti prende alla gola.

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Mezza città, quella più vicina al Lamone, è finita sotto metri di acqua. Solo la parte a nord ovest e la zona alta del centro storico si sono salvate. Ora l’acqua si è ritirata lasciando ovunque ammassi enormi di fango e la città è un enorme cantiere. Complicato anche in questo caso dal meteo, che dopo il nubifragio ha portato l’estate con temperature di trenta gradi che trasformano l’argilla in cemento e rendono più faticosa la pulizia.

Migliaia di persone e centinaia di ragazzi sono davanti alle case con le pale in mano a cercare di ripulire i piani bassi e i cortili delle case. Le strade, quelle percorribili, sono piene di polvere di fango che sembra di muoversi su piste del deserto. Le altre sono sottili lingue di malta che si inoltrano tra montagne di mobili, materassi, suppellettili, lavatrici, frigoriferi, televisioni e tutto quello che è stato distrutto e ora è da buttare via. Una desolazione. L’alluvione si è presa 14 vite in Romagna ma anche i beni, i sacrifici, i ricordi e pezzi importanti di vita di decine di migliaia di persone.

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Le auto parcheggiate lungo le vie più colpite e non ancora rimosse sono sagome di fango. Quelle che si sono salvate ora sono parcheggiate sui ponti e nelle zone più alte della città, che la paura non è ancora passata e non si sa mai. Ovunque mezzi della Protezione civile, ruspe, bobcat, gru, ragni sono all’opera per rimuovere, pulire e ridare una parvenza di normalità a una città che oggi sembra uscita dalla guerra. Peggio del terremoto di 11 anni fa in Emilia, molto peggio. Ci vorranno settimane, forse mesi per ripulirla. E anni perché Faenza torni a essere Faenza. E ci sarà bisogno di aiuti, tanti aiuti per risorgere.

Nei padiglioni della Fiera c’è un grande hub con uno dei centri di raccolta degli sfollati che non hanno trovato ospitalità da amici, parenti, cittadini generosi e non possono ancora rientrare nelle loro case. Ma la fiera è anche la base delle colonne di protezione civile e volontari arrivare da diverse regioni d’Italia. E da ieri anche del grande emporio allestito da Emergency, che raccoglie le donazioni di cibo, generi di prima necessità, prodotti per l’igiene personale, spazzoloni, tira acqua, scope e altro materiale per le pulizie, che poi distribuisce a chi ne ha bisogno.

Oggi sono andato lì a dare una mano. La voce di quell’aiuto si è sparsa in fretta. È arrivata una marea di persone a cercare quello che serve e che è difficile trovare nei negozi e nei supermercati, svuotati nei giorni scorsi e riforniti a fatica per le difficoltà alla viabilità.

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Mi hanno colpito alcune scene. Le ditte e le persone che vanno a donare generi e beni di ogni tipo all’emporio. Un ragazzino di 15-16 anni arrivato in apecar che si è caricato a fatica un enorme sacco e uno scatolone pieni di vestiario che però non è stato ritirato perché non è di quello che oggi c’era bisogno: gli hanno ritirato solo due paia di stivali di gomma, lui si è ricaricato il resto è ha detto che lo riporterà quando ce ne sarà bisogno. Un signore anziano con i vestiti e le braccia infangate che mi ha chiesto se l’aiutavo a togliere gli stivali perché faceva fatica a piegarsi. Le tante famiglie con figli piccoli al seguito, molte arrivate a piedi o in bicicletta a prendere quel che serviva. Una confezione regalo non so di che cosa è non so da chi con un bigliettino verde e un fiorellino contenuta in uno degli scatoloni portati stamane a Emergency.

Ma soprattutto mi hanno colpito le facce. Quelle provate degli alluvionati, la tristezza e in molti casi la disperazione disegnata nei loro sguardi. Quelle belle larghe dei “”burdel de paciug” che ho incontrato pale in mano per strada. Quelle stanche ma sorridenti dei tanti volontari arrivati da tutta Italia a dare una mano (davanti a me alla mensa un gruppo di Rutigliano), dei ragazzi e dei diversamente giovani che si sono messi a disposizione di Emergency per spostare scatoloni e rifornire le varie corsie dei generi di prima necessità da distribuire. E mi ha anche colpito la voglia e il bisogno di diversi alluvionati di fermarsi qualche minuto a raccontare ai volontari dov’erano quella notte maledetta, cosa hanno rischiato, cosa è accaduto alla loro casa, quel che hanno perso. In molti casi tutto. Ma non la voglia di regalare un sorriso, un grazie, una battuta. Da buoni romagnoli.

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