Decine di disperati costretti a trascorrere la notte su uno scoglio. Due persone, una donna e un bimbo, morti accertati dell’ennesima strage in mare.
Il mare della morte
Sono due i naufragi avvenuti tra le giornate di sabato e domenica al largo di Lampedusa, con una trentina di dispersi accertati. Dopo lo sbarco sull’isola, nella tarda serata di ieri, di 57 migranti e due cadaveri (una donna e un bimbo) recuperati dalle motovedette della Guardia costiera, i mediatori dell’Oim, sentendo i superstiti, sono riusciti a ricostruire che le barche colate sono due. La prima aveva a bordo 48 migranti, 45 dei quali sono stati salvati. Stando ai loro racconti, vi sarebbero 3 dispersi. Sul secondo natante c’erano invece 42 persone, 14 delle quali recuperate. I dispersi in questo caso dovrebbero essere quasi una trentina.
La prima carretta, partita da Sfax in Tunisia, sarebbe colata a picco un paio d’ore prima rispetto a quando i militari della Guardia costiera hanno intercettato, a circa 23 miglia Sud-Ovest da Lampedusa, le persone in mare. I superstiti hanno parlato di tre dispersi: una donna e due uomini. I 14 naufraghi della seconda imbarcazione, anch’essa salpata da Sfax giovedì scorso, hanno sostenuto di essere partiti in 42. All’appello mancherebbero dunque altre 28 persone.
Sono ancora bloccati sugli scogli, invece, i 20 migranti naufragati in zona Ponente, a Lampedusa. Hanno trascorso la loro seconda notte al vento, al buio, senza riparo e con le onde in tempesta che si infrangono sulla scogliera dove stazionano ormai da più di trentasei ore. Dopo quelli di ieri, la Guardia Costiera ha effettuato invano un altro tentativo di recupero dal mare. È stato attivato il soccorso alpino dell’Esercito Italiano che arriverà sull’isola a metà giornata e tenterà con un elicottero e con il supporto dei Vigili del Fuoco il recupero via terra da uno strapiombo di 140 mt di altezza.
Si lavora per alleggerire la pressione sul centro d’accoglienza lampedusano, sempre strapieno. Due voli charter partiranno lunedì e martedì con a bordo 360 migranti. Si tratta di persone sbarcate negli ultimi giorni sull’isola delle Pelagie. Il trasferimento straordinario è stato stabilito dalla prefettura di Agrigento, dal momento che le condizioni meteomarine non hanno consentito le normali corse di linea dei traghetti verso Porto Empedocle.
Sono arrivati molto provati dal naufragio ma adesso, dopo le cure e l’assistenza degli operatori della Cri, stanno meglio, a parte le condizioni psicologiche di cui ci stiamo occupando”. Con queste parole Ignazio Schintu, vice segretario generale della Croce Rossa Italiana, presente sull’isola, commenta le condizioni dei superstiti del naufragio
La nave salvavite
Dopo numerosi salvataggi nel canale di Sicilia e lunghe giornate di navigazione, la Open Arms è arrivata nel porto di Brindisi. L’imbarcazione della Ong ha toccato intorno alle ore 8 la banchina Montecatini, nel porto interno. A stretto giro sono iniziate le operazioni di sbarco di 194 persone, fra cui 59 minori (50 dei quali non accompagnati), di cui nove sotto i 14 anni. Le donne sono 25 (cinque minorenni), di cui alcune in dolce attesa. I migranti provengono da: Burkina Faso, Camerun, Costa Marfil, Eritrea, Etiopia, Gambia, Guinea, Guinea Bissau, Mali, Nigeria, Senegal, Sierra Leone, Sudan e Tunisia.
L’accoglienza
Fin dalle prime ore del giorno, sotto il coordinamento della prefettura di Brindisi, sono iniziati i preparativi per le operazioni di prima accoglienza e identificazione. Il collaudato dispositivo si attiva grazie all’operato di forze dell’ordine (Polizia di Stato, carabinieri, Guardia di finanza, Polizia locale), Capitaneria di porto, vigili del fuoco, Asl, Comune di Brindisi, Sanità marittima, Autorità di sistema portuale del Mar adriatico meridionale, Protezione civile e Croce rossa (presente con i volontari e le crocerossine del territorio provinciale con il supporto dei Servizi del Comitato Regionale Puglia tra cui il Reparto di Sanità Pubblica con i mezzi ad Altobiocontenimento, ausiliario del Ministero della Salute – Usmaf, il Servizio Migrazioni con le attività di Restoring Family Links per prevenire le separazioni allo sbarco ed agevolare le riunificazioni familiari).
All’interno del capannone ex Montecatini le persone saranno identificate e foto segnalate dalla Polizia di Stato. Dopo di che saranno trasferite verso vari centri di accoglienza sparsi fra Puglia, Campania e Basilicata, ad eccezione dei minori non accompagnati, che saranno ospitati presso strutture della zona.
Numerose operazioni di soccorso
Grazie alla Open Arms sono centinaia le persone salvate negli ultimi giorni. La Ong ha operato con il supporto del veliero Astral, sopperendo anche alla carenza di gasolio da parte della Guardia costiera di Lampedusa. Le condizioni del mare non hanno di certo agevolato l’encomiabile lavoro dei volontari, che hanno evitati diversi naufragi.
Il bilancio degli sbarchi
Lo resoconta su Repubblica Giulia Torlone: “Quasi novantamila migranti sbarcati sulle nostre coste in questi primi sette mesi, mai così tanti negli ultimi sette anni. I dati del Viminale, aggiornati al 28 luglio, parlano di 87.883 arrivi e segnano una cifra più che doppia rispetto allo scorso anno, quando nello stesso periodo si erano registrati 41 mila arrivi sulle nostre coste. E negli ultimi tre giorni gli sbarchi non si sono fermati: sono approdate in Italia, tra le altre, 154 persone a Lampedusa, 62 a Roccella Jonica e 39 sulle coste di Crotone. Se il dato continuasse a crescere, si arriverebbe a sfiorare la cifra record del 2016, quando in Italia sbarcarono 181 mila persone.
Dopo un crollo degli arrivi nel 2019, quando da gennaio a luglio se ne contarono poco meno di 4000, dall’anno successivo la crescita è stata costante: 14 mila sbarchi nei primi sette mesi del 2020, 29 mila nel 2021 e 41 mila nel 2022. Quest’anno, davanti a numeri così imponenti, e con la pressione migratoria in aumento dalla Tunisia, le navi di soccorso come la Open Arms o la Geo Barents si sono trovate più volte a dover gestire più interventi, in deroga al decreto Cutro che vieta i salvataggi multipli.
Nel solo mese di luglio, la nave di Medici Senza Frontiere è intervenuta nove volte, di cui quattro nella stessa spedizione. A Open Arms, invece, è stato chiesto di effettuare sei operazioni di salvataggio in coordinamento con il comando generale delle capitanerie di porto di Roma.
Secondo Frontex, il Mediterraneo centrale resta la rotta più percorsa dai migranti che vogliono raggiungere l’Europa: nei primi sei mesi del 2023 si sono registrati 65.571 attraversamenti irregolari dei confini Ue in questo tratto, un aumento del 137 per cento rispetto allo scorso anno. Le altre rotte, invece, subiscono un calo: del 34 per cento quella del Mediterraneo orientale e del 6 per cento quello occidentale.
Con una pressione migratoria in aumento, gli hotspot e i centri di accoglienza sono sempre più al limite della capienza. L’hub di Catania ha registrato 15mila arrivi negli ultimi tre mesi, di cui 700 minori, con picchi di 500 persone al giorno. L’hotspot di Lampedusa continua ad essere sovraffollato ed è arrivato ad ospitare più di 3000 migranti, superando di sette volte la capienza massima.
La vergogna tunisina
Da un report di Agenzia Nova: “Le immagini circolanti che mostrano alcune auto della polizia trasportare migranti al confine tra Libia e Tunisia “vogliono screditare” la Guardia nazionale tunisina. Lo ha dichiarato il portavoce della Guardia nazionale, Hossam Eddine Jebabli, in alcune dichiarazioni rilasciate all’emittente panaraba di proprietà saudita “Al Arabiya”. Il portavoce ha spiegato che la Mezzaluna tossa tunisina sta aiutando i migranti bloccati fornendo cibo e servizi medici, “mentre le autorità tunisine sono in contatto con le organizzazioni internazionali per trovare una soluzione alla crisi dei migranti”. Ieri è circolato un filmato che mostra alcune auto della polizia trasportare migranti al confine tra i due Paesi. Il video, inizialmente pubblicato da diverse testate giornalistiche tunisine, mostra tre veicoli fuori strada di colore nero con la scritta bianca “Polizia” in arabo arrivare a gran velocità nella zona militare al confine con tra Libia e Tunisia. L’area in questione è riconoscibile da una torretta bianca che, da una verifica con Google Maps, è compatibile con un vecchio punto di osservazione costiero a due chilometri di distanza dal valico di frontiera di Ras Jedir, in piena “zona militare”.
Nel filmato, le auto scaricano una cinquantina di persone, in apparenza migranti subsahariani, che fuggono di corsa. Un altro video pubblicato dall’emittente televisiva “Al Hadath Tunisia” mostra dei migranti in fuga, tra cui una donna e un bambino, inseguiti da agenti armati di Kalashnikov e dalle stesse auto nere della polizia. La stampa tunisina afferma che si tratterebbe di auto libiche, ma il sito web “Address Libya” asserisce il contrario: i migranti sarebbero stati infatti espulsi dagli agenti tunisini, “come dimostrato dalle testimonianze dei migranti stessi e come indicato delle Nazioni Unite”. L’Agenzia per il contrasto all’immigrazione illegale della Libia (Dcim), contattata da “Agenzia Nova”, non ha voluto commentare la questione, lamentando di essere stata depotenziata e di non occuparsi dei migranti alla frontiera tunisina. Una verifica online mostra che le auto della Polizia di frontiera libica hanno dei colori diversi rispetto alle vetture che si vedono nel filmato. Una fonte occidentale qualificata ha riferito ad “Agenzia Nova” di “non aver mai visto quelle macchine nere” dalla parte libica del confine”.
La “guerra del pane”
In quella che è già stata denominata dai media locali come la nuova “guerra del pane”, il ministero tunisino del Commercio e dello sviluppo delle esportazioni tunisino, ha annunciato due giorni lo stop alle forniture di farina e semola ai cosiddetti panifici “non classificati” o “non convenzionati”.
Ciò a seguito della proclamazione da parte dell’Associazione professionale dei panifici moderni, affiliata alla Confederazione delle imprese cittadine della Tunisia (Conect), di 15 giorni di protesta a partire da lunedì 7 agosto, davanti alla sede del ministero del Commercio e dello sviluppo di Tunisi e alla decisione della sospensione delle attività di panificazione in tutti i panifici di competenza dell’associazione.
Tutto nasce dalle dichiarazioni del 27 luglio scorso del presidente Kais Saied che ha detto che è ora di porre fine alla classificazione attuale dei panifici, notando “che c’è un pane per i ricchi e un altro per i poveri”, quando invece dovrebbe esserci “un solo pane per tutti i tunisini”. Il riferimento è alla baguette prodotta con la farina base sovvenzionata dallo Stato, al prezzo simbolico di 190 millesimi di dinari (circa 0,05 euro), prezzo che non varia tra l’altro da una quindicina di anni. La farina sovvenzionata, che serve per produrre questo tipo di pane “popolare”, viene ripartita tra i panifici convenzionati, che dovrebbero produrre solo questo pane, e quelli “non classificati”, che producono anche dolci e altri tipi di pane. Questi ultimi sono accusati dai clienti di mescolare farine sovvenzionate ai loro impasti per poi produrre pani e avere più margine sulla vendita, oppure di comprare farine convenzionate da panifici convenzionati che non riescono a produrre altro tipo di pane rispetto alla baguette da 190 millesimi.
Il governo ha chiarito che la decisione di interrompere l’approvvigionamento di questi panifici è conforme alle disposizioni di legge vigenti e rientra nell’ambito delle sue prerogative volte a regolare il mercato. Il risultato è che dal primo agosto si possono osservare lunghe code davanti ai panifici tradizionali, che offrono ormai solo baguette “convenzionate”, mentre gran parte di quelli non convenzionati rimangono senza rifornimenti e in parte chiusi. Secondo Mohamed Jamali, presidente del gruppo delle panetterie moderne della Confederazione delle imprese cittadine della Tunisia (Conect).1.500 forni sono stati chiusi e 18.000 dipendenti sono rimasti disoccupati. L’1, il 2 e 3 agosto brigate miste del ministero del Commercio e dell’Interno hanno fatto il giro delle panetterie moderne minacciandole di sequestro di attrezzature se avessero continuato a vendere pane. Il presidente Saied ha più volte sottolineato che il pane “è una linea rossa da non oltrepassare”.
Ma quella linea è stata abbondantemente superata. E non solo quella.
In questo scenario devastato, Saied ha licenziato il primo ministro Najla Bouden senza spiegazioni e l’ha sostituita con l’ex dirigente della banca centrale Ahmed Hachani, incaricato di superare le “sfide colossali” che il Paese nordafricano a corto di liquidità deve affrontare.
Non è stata fornita alcuna spiegazione ufficiale per il licenziamento di Bouden, ma diversi media locali hanno evidenziato il malcontento di Saied per una serie di carenze, in particolare quella di pane nelle panetterie sovvenzionate dallo Stato.
Cambia premier, ma lui resta al potere. L’autocrate di Tunisi che tanto piace ai securisti di Roma.