Armamenti, così il governo prova a favorire le lobby dei venditori di morte

Nel silenzio della stampa mainstream, il governo sta manovrando per favorire i venditori e produttori di armi. A svelarne la manovra, con la consueta e meritoria puntualità e forza documentale, è la Rete Italiana Pace e Disarmo.

Armamenti, così il governo prova a favorire le lobby dei venditori di morte
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

5 Ottobre 2023 - 14.18


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Allarme rosso. Nel silenzio della stampa mainstream, il governo sta manovrando per favorire i venditori e produttori di armi. A svelarne la manovra, con la consueta e meritoria puntualità e forza documentale, è la Rete Italiana Pace e Disarmo.

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Manovre in corso

“La Rete Italiana Pace Disarmo esprime la propria preoccupazione le modifiche della Legge 185/90 sull’export militare predisposte dal Governo con la recente presentazione al Parlamento di un apposto Disegno di Legge (Atto Senato n.855)

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L’analisi del testo del DDL rivela infatti l’intenzione di implementare strutture e procedure di applicazione dei principi e dei criteri della Legge nella direzione di un controllo meno rigoroso soprattutto a livello di autorizzazioni e, di conseguenza, di una maggiore facilitazione delle esportazioni di armamenti militari a livello globale. In particolare, facendo assumere al nuovo Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa – CISD)  il compito di “applicare divieti” di esportazione dei materiali d’armamento stabiliti dalle norme nazionali e internazionali si intende di fatto sottoporre la decisione ad un giudizio più di tipo politico che giuridico.

Si concretizza così una richiesta di revisione delle norme in vigore ripetutamente avanzata negli ultimi anni dall’industria militare e da Istituti di ricerca ad essa vicini in un’ottica di facilitazione delle esportazioni di armamenti e e per aiutare la competitività dell’industria militare, la cui funzione è stata sempre enfatizzata – erroneamente – come “strategica” per il “rilancio” dell’economia nazionale. La Rete Pace Disarmo aveva sottolineato con preoccupazione questi tentativi, ribadendo con forza come ci sia invece la necessità di applicare in modo rigoroso e trasparente la Legge 185/90 e le norme internazionali che la rafforzano. Come, in particolare, il Trattato sul commercio delle armi (Ams Trade Treaty– ATT), adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 2 aprile 2013 ed entrato in vigore il 24 dicembre 2014, che, nel regolamentare i trasferimenti di armi convenzionali, prevede sia ipotesi di tassativo rifiuto di concessione della licenza sia anche situazioni nelle quali è richiesta una specifica valutazione del rischio con conseguente rifiuti (ATT, Art. 7) .

Le motivazioni poste alla base di questo tentativo di modifica della legge 185/1990 appaiono pretestuose in relazione soprattutto a fantomatiche difficoltà, rispetto a concorrenti europei e internazionali, dell’industria militare italiana a realizzare contratti di vendita. Affermazione lontana dalla realtà come dimostrano gli stessi dati governativi che evidenziano una continua crescita nel volume di autorizzazioni e soprattutto di consegne all’estero di materiali d’armamento. Va inoltre evidenziato come sia nell’ultimo periodo progressivamente aumentato anche il numero totale di Stati clienti raggiunti dagli armamenti italiani, dato che pone il nostro Paese ai primi posti nel commercio mondiale di armamenti.

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Va inoltre ricordato come in oltre trent’anni di presenza di una normativa sull’export di armamenti (le legge 185/1990) solo in un caso sia stato bloccato l’invio di materiali d’armamento  (bombe e missili) verso attori altamente problematici (l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi, che le utilizzavano per bombardamenti anche su civili in Yemen). Risultato raggiunto solo dopo una lunga e ampia mobilitazione della società civile, durata diversi anni, cui ha fatto seguito una decisione parlamentare che ha sollecitato quella governativa di conseguenza. Al contrario, in un tempo molto più breve l’attuale Governo ha deciso di riprendere le vendite di quegli ordigni, nonostante il conflitto yemenita non sia per nulla risolto e il rischio di ostilità e violazioni permanga alto, dimostrando ancora una volta il trattamento di favore e di vantaggio concesso alle esportazioni militari e agli affari armati.

Gli armamenti italiani sono stati e sono tuttora inviati in decine di situazioni di conflitto, di violazione diritti umani, di presenza di regimi autoritari come invece sarebbe e espressamente vietato dalle norme in vigore (oltre al caso già citato ci riferiamo, tra gli altri, alle vendite verso Egitto, Turchia, Kuwait, Turkmenistan, Qatar, Israele… o anche ai tentativi di sottoscrivere contratti con l’Azerbaijan).

Il timore della nostra Rete Pace Disarmo è che lo spostamento di competenze decisionali riguardanti i criteri e i divieti relativi all’export di armi in ambito pienamente politico (con l’istituzione del nuovo Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa – CISD) le salvaguardie che la legge prevede nei confronti degli impatti delle armi delle popolazioni civili coinvolte in conflitti o in situazioni di violazione dei diritti verranno invece superate. La vera innovazione della Legge 185/90 (oltre alle procedure) è stata nell’aver per la prima volta evidenziato come la produzione e il commercio di armamenti non si siano considerabili un puro “business” ma abbiano anche impatti sui diritti e le politiche estere. Impostazione poi ripresa dalle norme internazionali come il già citato Trattato ATT che ci stupisce di non vedere citato nel DDL governativo, al fine di una sua integrazione completa nelle norme nazionali. In sede di ratifica del Trattato il Parlamento aveva espressamente indicato la Legge 185/90 come norma che ne recepiva l’applicazione, essendo già presente. Se ora si va a modificare tale Legge si dovrebbero dunque inserire in essa le fonti del diritto internazionale sottoscritte dall’Italia che non erano esistenti al momento della promulgazione iniziale.

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Per tutte queste motivazioni la Rete Italiana Pace e Disarmo chiede che, se il Governo continuerà a mantenere la volontà di reintrodurre il ruolo di un Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (CISD), ciò venga fatto nella forma originaria prevista dal testo del 1990. Cioè ripristinando anche due commi che erano stati aboliti nelle risistemazioni successive, il 5 e 6 dell’articolo 6 della Legge 185/1990 così formulati: 

5. Spetta altresì al CISD la individuazione dei Paesi per i quali debba farsi luogo ai divieti di cui all’articolo 1, comma 6.

6. Il CISD riceve informazioni sul rispetto dei diritti umani anche da parte delle organizzazioni riconosciute dall’ONU e dalla CEE e da parte delle organizzazioni non governative riconosciute ai sensi dell’articolo 28 della legge 26 febbraio 1987, n. 49. 

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“Se è positivo – commenta Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio sulle armi leggere OPAL – che il Governo, ripristinando il Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (CISD) presieduto dal Presidente del Consiglio, intenda assumersi la responsabilità diretta degli indirizzi generali nei trasferimenti di materiali di armamento, è invece alquanto problematico il reale scopo che la modifica della Legge 185/90 intende perseguire. Che non è quello, sancito dalle norme nazionali e internazionali, di promuovere la pace e la sicurezza, bensì quello di semplificare le operazioni di autorizzazione alle esportazioni di armamenti a vantaggio delle imprese italiane del settore. In altre parole, la modifica proposta dal Governo non va nella direzione di un maggior rigore e trasparenza nei trasferimenti di armamenti – quanto mai auspicabili considerata la situazione internazionale – ma nel facilitarle in modo da favorire le aziende italiane”.

Una intervista illuminante

E’ quella su Avvenire del 3 agosto a firma Luca Liverani a Francesco Vignarca, assieme a Beretta un’autorità nel campo. 

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«Questa ipotesi del governo è sicuramente preoccupante, perché va a concretizzare iniziative di modifica della legge 185 del ’90, quella che regolamenta le esportazioni di sistemi d’arma, paventate da tempo». C’è preoccupazione nel movimento per la pace che da anni chiede più rigore nei controlli sulle esportazioni di armi verso paesi in contesti instabili, se non addirittura in guerra. Lo dice con chiarezza Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana per la pace il disarmo, commentando il ddl del governo che vuole modificare la legge 185 del 1990: «Ma non nella direzione che servirebbe – spiega – cioè verso un maggiore controllo e per l’allineamento con i criteri della Posizione comune europea e dell’Att, l’accordo internazionale sul commercio di armi del 2013. No, invece si vuole andare verso una maggiore liberalizzazione».

Il settore dell’industria militare – e chi nella maggioranza ne raccoglie le istanze – sostiene che serve a sostenere il comparto della difesa che sarebbe basilare per l’economia dell’Italia. 

Sono motivazioni del tutto risibili. Altro che basilare, il comparto dell’industria militare in Italia ha un fatturato inferiore all’1 per cento del Pil. Non si capisce che lamentele possano formulare le industrie, che hanno sempre avuto le autorizzazioni richieste. L’unico blocco che è stato attuato, quello per i missili e bombe d’aereo per l’Arabia Saudita e gli Emirati arabi in guerra contro lo Yemen, di recente è stato interrotto. 

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I fautori della riforma sostengono che il 70% del fatturato delle industrie militari deriva dalle esportazioni.

Mi sembra molto strano perché, se il fatturato complessivo – come dicono loro – è di 17 miliardi, il 70 per cento equivarrebbe ad almeno una dozzina di miliardi in esportazioni, quando invece i dati della relazione al Parlamento della legge 185 ci dicono che l’export italiano di armamenti si aggira sui 3 miliardi. La verità è che si vuole solo reintrodurre questo Comitato interministeriale, che c’era all’inizio della legge 185, per evitare che ci sia qualcuno che controlla veramente l’attinenza delle richieste di autorizzazioni con i criteri della legge. Ma sbagliano.

In che cosa sbaglierebbero?

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Se governo e Parlamento modificheranno la 185, dovranno inglobare nella nuova norma anche il trattato Att: quando venne ratificato, il Parlamento disse in sostanza: l’Italia non deve implementare niente, perché la nostra legge già funziona bene come chiede l’Att. A questo punto, se la 185 viene toccata, nella nuova legge non si potranno introdurre solo le modifiche sul Comitato e sulle questioni che riguardano le procedure, ma si dovranno inserire anche i criteri dell’Att. Criteri che – vale la pena di ricordarlo – sono più stringenti di quelli della 185. Ad esempio, sui diritti umani: l’Accordo internazionale stabilisce che non si possono esportare armi nei Paesi in cui c’è un rischio di violazioni dei diritti umani, non quando gli abusi vengono accertati. 

Una delle motivazioni è che riformare la 185 servirebbe a velocizzare le autorizzazioni alle industrie.

Mi sembra un’altra motivazione risibile. Non c’è alcun bisogno di velocizzare le autorizzazioni, che vanno rilasciate nei termini giusti e facendo tutte le valutazioni del caso. Non è certo dalla velocità dell’iter che deriva il successo o meno dell’export militare, che comunque, lo ricordo, in questi ultimi anni sta crescendo. Oggi c’è un funzionario che sa ogni giorno quello che succede. La riforma vuole sostituirlo con un Comitato presieduto dal Presidente del consiglio. Quanto spesso si potrà riunire questo organismo? E quanto potrà essere considerata valida un’autorizzazione data un mese prima, quando magari le situazioni cambiano repentinamente? Pensiamo per esempio al Niger: se il Comitato un mese fa avesse dato semaforo verde alle esportazioni di armi, cosa sarebbe successo ora che c’è un colpo di stato? Riconvochiamo il Comitato? No, ha più senso che ci sia un’autorità nazionale a decidere proprio perché questo permette di avere una costanza e una consistenza nelle autorizzazioni.

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Quindi il giudizio di Rete italiana pace e disamo è del tutto negativo?

Noi ci opporremo sicuramente a tutte le modifiche che andranno in direzione di minori controlli, minore applicazione dei criteri, minore trasparenza. Dovremmo piuttosto implementare sempre di più le prescrizioni contenute nelle norme internazionali.

Così Vignarca. Ora il governo ci prova. Opposizione di sinistra, se ci sei batti un colpo. In Parlamento, nel Paese. Perché il pacifismo richiede coerenza tra il dire e il fare, tra principi enunciati e pratiche conseguenti. La coerenza è un bene prezioso, ahinoi sempre più introvabile nel degradato mercato della politica. 

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