La premeditazione è una variabile decisiva che nel futuro processo a Filippo Turetta, accusato di aver ucciso con «ferocia» Giulia Cecchettin, potrebbe portarlo, se riconosciuta, fino ad una condanna all’ergastolo.
Per arrivare a contestare anche quella aggravante gli inquirenti stanno lavorando proprio su numerosi elementi, tra cui pure l’acquisto on line pochi giorni prima, forse due o tre, dell’11 novembre di quel nastro adesivo che l’ex fidanzato avrebbe usato per impedire alla 22enne di urlare durante l’aggressione in due fasi, durata circa 25 minuti.
Già nell’interrogatorio davanti al gip di Venezia Benedetta Vitolo, che non si terrà prima dell’inizio della prossima settimana, i pm potrebbero presentare nuove accuse a carico di Turetta, tra cui pure un’imputazione di occultamento di cadavere per aver nascosto il corpo in una zona montuosa in provincia di Pordenone, vicino al lago di Barcis, a due ore circa di macchina da Vigonovo.
Per ora l’ordinanza da cui è scaturito il mandato d’arresto europeo, con cui nella notte tra sabato e domenica scorsa Turetta è stata portato in carcere ad Halle dopo una fuga di mille chilometri, si basa sui reati di omicidio volontario aggravato dalla relazione affettiva terminata, perché Giulia lasciò Filippo la scorsa estate, e di sequestro di persona. Sarebbe possibile, però, per i pm integrare gli atti con la nuova aggravante e l’altro reato già quando il 22enne si troverà davanti al giudice,
Ci sarebbero, tra l’altro, più indizi a testimonianza del fatto che Turetta potesse aver già deciso, di fronte alla ferma volontà di Giulia di non riallacciare il rapporto sentimentale, di ucciderla dopo la cena al centro commerciale di Marghera. Si va da un presunto sopralluogo nella zona industriale di Fossò dove, dopo averla colpita a coltellate, verso le 23.40 l’avrebbe inseguita fino a «scaraventarla a terra», facendole sbattere la testa «sul marciapiede», fino ai coltelli che avrebbe portato con sé e a quei teli di plastica messi sopra il corpo nascosto, oltre all’acquisto del nastro adesivo.
Turetta, intanto, arriverà domani in Italia con un volo militare da Francoforte e andrà nel carcere di Verona, preferito alla fine, come deciso dal Dipartimento amministrazione penitenziaria, a quello di Venezia, perché ha una sezione «protetti», ossia quella prevista per i detenuti, come «sex offender» e autori di reati «a forte riprovazione sociale», che vanno tutelati escludendo qualsiasi contatto con altre tipologie di detenuti. Il 22enne sarà anche sorvegliato a vista 24 ore su 24 per evitare gesti autolesionistici.
Mentre dagli atti dell’inchiesta, condotta dai carabinieri e coordinata dal procuratore Bruno Cherchi e dal pm Andrea Petroni, viene a galla che il telefono di Giulia, che allo stato non risulta essere stato ritrovato, agganciò come «ultimo dato disponibile», verso le 22.45, una cella di Marghera, vicino al centro commerciale dove i due giovani avevano cenato. Da quel momento in poi sarebbe risultato spento (quello di Turetta ancora alle 23.29 agganciava la cella di Fossò), anche quando la studentessa, prossima alla laurea, fu aggredita la prima volta nel parcheggio a 150 metri da casa. Scena che un vicino vide in parte allertando il 112, senza riuscire, però, a segnalare il numero di targa dell’auto, tanto che non venne inviata alcuna pattuglia.
Il giorno successivo Gino, papà di Giulia, presentò denuncia di scomparsa mettendo nero su bianco che temeva per la «incolumità di mia figlia». Lei, ha spiegato il padre, l’aveva lasciato anche per la sua «eccessiva gelosia». E dopo la fine della relazione era comunque «insistente e possessivo al punto che Giulia – si legge – aveva deciso di troncare definitivamente anche il loro rapporto di amicizia».
Tuttavia, continuava a frequentarlo «poiché, a dire di mia figlia, l’ex fidanzato nell’ultimo periodo era depresso e pertanto, per paura che potesse attuare qualche gesto inconsulto, cercava di stargli vicino». Lui che, ha scritto il gip, si era nascosto dietro «una vita all’insegna di un’apparente normalità», prima di compiere quel «gesto folle». Potrebbe decidere di parlare davanti al giudice, mentre la sua difesa, col legale Giovanni Caruso, studierà gli atti e valuterà un’istanza di perizia psichiatrica.
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