Settantacinque anni orsono la barbarie nazi-fascista con la fucilazione dei sette fratelli Cervi, che avevano lottato nelle fila della Reistenza partigiana.
Prima di essere barbaramente uccisi, furono a lungo seviziati.
Era il 28 dicembre 1943.
Si chiamavano Gelindo (nato il 7 agosto 1901); Antenore (1906); Aldo (15 febbraio 1909); Ferdinando (1911); Agostino (11 gennaio 1916); Ovidio (13 marzo 1918) ed Ettore (2 giugno 1921).
Morirono perché fino all’ultimo vollero rimanere fedeli alle loro idee di libertà e di giustizia. Perché avrebbero potuto salvarsi ripudiando tutto, ma non lo fecero.
Dopo la cattura i fratelli Cervi erano stati a lungo interrogati e seviziati, ma i fascisti non ne avevano cavato nulla. Ad un certo punto – si racconta – giunsero a dirgli: “Volete il perdono? Mettetevi nella Guardia Repubblicana”.
Risposero: “Crederemmo di sporcarci”. Nemmeno i quattro dei Cervi che erano ammogliati ed avevano figli, compreso Gelindo che ne aveva un altro in arrivo, cedettero alle lusinghe. Allora li presero e li portarono tutti al poligono di tiro.
Non si sa quanto abbia pesato, nella decisione di non cedere, l’influenza che Aldo, il più “politicizzato” dei Cervi, esercitava da anni sui fratelli e sui contadini della zona, ai quali aveva insegnato nuovi sistemi d’irrigazione.
Aldo – scrisse Piero Calamandrei – non perdeva occasione per educare se stesso e gli altri. “Quando dopo molti anni di accanita fatica di braccia, la famiglia Cervi poté permettersi il lusso di acquistare un trattore, Aldo andò a prenderlo in consegna a Reggio: e sulla strada che porta a Campegine i vicini lo videro tornare trionfante, al volante della macchina nuova, sulla quale aveva issato, come una bandiera internazionale, un gran mappamondo”.
Oggi la loro casa di Campegine è stata trasformata in un museo.