Un retroscena che non farà piacere alla Lega di Salvini che per tutta la giornata di ieri ha cavalcato la xenofobia sottolineando che l’assassino di Sharon era un italiano figlio di africani. E tanto è bastato per aver scatenato commenti imbarazzanti.
“L’unico rimpianto è non aver potuto fare qualcosa per salvare Sharon Verzeni”. È quanto hanno dichiarato i due testimoni del caso della 33enne di Terno d’Isola (Bergamo). Si tratta di un 25enne e un 23enne italiani di origine marocchina, che hanno fornito un aiuto decisivo ai carabinieri nell’identificazione dell’uomo in bicicletta che ha poi confessato, Moussa Sangare. “Se fossimo stati più vicini al luogo dell’omicidio, forse avremmo potuto salvarla”, hanno aggiunto.
“Abbiamo avuto la cittadinanza da ragazzini, a 15 anni. Vogliamo far riflettere che se il killer è di origini straniere, lo siamo anche noi. Forse senza la nostra testimonianza sarebbe libero. Pensiamo di aver fatto il nostro dovere”.
Il racconto dei due testimoni del delitto Verzeni
I due giovani hanno raccontato quella tragica notte. “Eravamo usciti come al solito molto tardi per allenarci. Era più o meno mezzanotte, eravamo a Chignolo vicino alla farmacia davanti al cimitero, dove ci siamo fermati per fare delle flessioni. A quel punto sono passati due nordafricani in bicicletta, poi un terzo. Lui ci è rimasto impresso, perché era un po’ strano. Aveva una bandana in testa e un cappellino, uno zaino e gli occhiali. Ci ha fissato a lungo e poi ci ha fatto una smorfia. Non lo avevamo mai visto prima”.