di Elia Fiorillo
“Il potere logora chi non ce l’ha”, ha sempre sostenuto Giulio Andreotti. Di diverso avviso è il nostro presidente del Consiglio che dopo i risultati elettorali alle amministrative di Milano e Napoli è convinto dell’incontrario: “Abbiamo pagato dazio perché stavamo al governo”. Diciamo che la verità sta nel mezzo. Se riesci a ben governare il potere non ti logora, anzi. Se, invece, fai pasticci quando hai avuto il consenso dagli elettori, allora non ti puoi lamentare. Non credo che serva a vincere il trasformare le elezioni amministrative in un referendum pro o contro il governo. E’ un errore che crea confusione nell’elettore perché non fa realmente approfondire le tematiche legate alla gestione del territorio, appunto, “buttandola in politica”. E, per converso, la perdita localistica diventa un boomerang per gli assetti nazionali; quello che attualmente sta avvenendo con la richiesta che le opposizioni fanno di uno stop all’attuale esecutivo. Certo, la botta avuta dal Pdl non è di quelle che passano con una scrollata di spalle o con piccoli ritocchi d’immagine per dar l’idea che tutto è cambiato, mentre nella sostanza niente viene mosso. Un’operazione di facciata è pericolosa sia per il Pdl, ma soprattutto per il Paese.
Il “movimento” berlusconiano, sia l’ex Forza Italia che l’attuale Pdl, si è sempre caratterizzato per essere “anarchico e monarchico”, come è stato definito da uno dei suoi dirigenti. Sulla monarchia c’è poco da dire, il Cavaliere è il re che premia e punisce secondo i suoi convincimenti spesso non logici ma emotivi. I plaudenti “senza se e senza ma” sono i più ben visti. C’è da dire però che questo sistema di potere non l’ha inventato Silvio da Arcore, l’ha solo accentuato. E’ un metodo che c’è sempre stato. Regredisce in una democrazia reale, aumenta nelle monarchie o semi tali. L’”anarchia”, invece, è proprio la conseguenza del regime assoluto per delega. Il Capo sceglie i preferiti a cui spesso dà deleghe in bianco. Questi a loro volta fanno lo stesso con i loro amici e via così.
Nelle ultime vicende elettorali il non partito di Silvio ha accentuato la sua natura anarchia mettendo da parte la regalità. Era già un po’ di tempo però che quello che veniva definito il Caimano, dai suoi più acerrimi nemici, appariva un gattone sornione che provava con fatica a mediare tra i tanti baroni del suo ex regno assoluto. Uno per tutti, Scaiola, il pluridimissionario ministro, che un giorno si e l’altro pure minaccia uscite clamorose con i suoi peones, che non sono pochi.
Certe dichiarazioni di Bossi, il super alleato, non sono mai piaciute al Gattone Silvio. La rozzezza del padano e quella voglia esasperata di divisione del Paese non possono essere accettate da Berlusconi: “buon viso a cattivo gioco”, si è comunque sempre imposto. Preoccupazione per una spaccatura tra lui e l’Umberto? Non se ne preoccupa più di tanto. Sa bene che l’ex scissionista è uomo di potere. E il potere, leggi governo, ancora per un po’ – scartando le elezioni pericolose per entrambi – lui, il Cavaliere, ce l’ha in pugno. Comunque, bisogna pensare al domani e tener presente che la Lega, ed il fido furiere di Bossi, il super ministro Tremonti, tesse la sua tela per appaltarsi la presidenza del Consiglio nel 2013.
Qualcuno nel giro di Berlusconi, sia pur rammaricato per la “scoppola” elettorale subita, ha pensato che proprio dalle rotture traumatiche può venire il nuovo. L’annuncio dato dal Cavaliere della nomina di Angelino Alfano, ministro della Giustizia, come nuovo segretario del Pdl, è una rottura con il passato e la nascita del partito del Popolo della libertà? O è l’ennesimo gattopardesco gioco per non toccare niente? Silvio Berlusconi alla presentazione del nuovo segretario, lui sempre tanto loquace, non ha voluto confrontarsi con i giornalisti. Se la manovra non è il frutto di storie ben raccontate da Tommaso Di Lampedusa, allora c’è da ben sperare. Angelino Alfano scende in campo come segretario di partito in pectore. Nel senso che il partito ancora non c’è. Sarà lui, con i tre coordinatori che l’affiancano, a costruirlo partendo da veri congressi di base. Non solo, ma l’Angelino, certo su designazione del Cavaliere, è l’antagonista dichiarato del ministro Tremonti. Insomma, il possibile futuro candidato alla presidenza del Consiglio. Se, invece, siamo di fronte ad un’operazione mimetica, allora saranno guai un po’ per tutti.
Per il Pd vale lo stesso discorso fatto per Silvio. Attenzione a non gridare troppo alla vittoria. A Milano e Napoli non ha certo vinto il Partito democratico. C’è bisogno di un disegno aggregativo ed ideale che smuova e colpisca la gente. Non è il caso, inoltre, di gridare che il Caimano o Cavaliere o Unto del Signore è finito. Non porta bene. L’Espresso del 3 maggio 1996, dopo la vittoria di Prodi, in copertina aveva una foto di Berlusconi raffigurato come pugile completamente suonato. La scritta sulla foto era:”The end”. Che abbaglio.
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