«La posizione in merito alla partecipazione alla manifestazione del 9 Marzo per ora è cambiata, in quanto la manifestazione si è caricata anche di altri contenuti, in particolare la Tav, oggi al centro dell’agenda politica e causa di inaccettabili episodi di violenza. Data la posizione del Pd sulla Tav e considerata la possibile presenza dei movimenti NoTav alla manifestazione del 9 Marzo, ho ritenuto incoerente la partecipazione, nonostante la condivisione di alcuni dei problemi indicati dalla piattaforma dello sciopero generale. Le preoccupazioni per la democrazia nei luoghi di lavoro – sostiene Fassina – e l’impegno a rimuovere gli ostacoli al suo pieno ripristino mi avevano portato, insieme ad altri dirigenti del Pd, ad indicare la partecipazione alla manifestazione nazionale organizzata a Roma il 9 Marzo prossimo nella giornata dello sciopero generale indetto dalla Fiom per la democrazia, per il contratto nazionale per la difesa dell’art 18 dello Statuto dei Lavoratori». Firmato Stefano Fassina, responsabile lavoro del Pd. Lo stesso Fassina che sembrava incarnare “la sinistra” di quel partito, colui sul quale hanno riposto tante speranze diversi esponenti di una certa sinistra radicale, e non solo – da Sel all’Idv per intenderci – nella prospettiva di un Pd da recuperare a una sinistra sia pure moderata.
Nello stesso giorno la Questura di Torino ha notificato un foglio di via obbligatorio con divieto di ritorno per un anno in sette comuni della Val di Susa a Turi Vaccaro l’ormai noto, e più che pacifico, militante NoTav – famosa la foto che lo vedeva a mani nude fronteggiare i blindati su cui poi è stato caricato a forza. Un’azione motivata dagli episodi che «hanno creato turbativa alla sicurezza pubblica in quei comuni» scrive la Questura. Un altro gesto “di dialogo” che il governo Monti e tutta la schiera dei filoTav – dal Presidente della Repubblica fino, appunto, a Stefano Fassina – ha deciso di offrire alla protesta. Tra l’altro l’elenco di coloro che ogni giorno dichiarano imperterriti che “non si può lasciare che sia la violenza a decidere” si fa così fitto da oscurare la vista: Napolitano, Monti, Cancellieri, il cardinal Bagnasco, Luciano Violante, questo o quel parlamentare Pdl, la Lega, i sindaci più importanti, Montezemolo, Passera, Mauro Moretti, Squinzi e Bombassei.
In questo contesto l’intervento di Roberto Saviano su Repubblica con il quale sottolinea come il Tav sia un incubatore di mafia e ‘ndrangheta è non solo impeccabile ma salutare.
Eppure basta leggere “il libro nero dell’Alta velocità” di Ivan Cicconi per farsi un’idea corretta: un costo iniziale del progetto Tav nel 1991 preventivato in 30 mila miliardi di vecchie lire e a oggi costato già 98 miliardi di euro (cioè 180 mila miliardi di lire, sei volte di più); un costo per chilometro del Tav in Italia di 32 milioni a chilometro con i 10 (dieci!) della Francia e i 9 (nove!) della Spagna. La pratica dei subappalti, il “general contractor”, i regali a Montezemolo, l’intero quadro politico schierato a favore degli affari e contro la popolazione della Valle. Basterebbe poco per essere non un partito estremista ma un partito che ha a cuore quella che è anche, o che è stata, la sua gente.
La decisione di non partecipare al corteo Fiom, e il modo in cui è stata comunicata, è una linea di frattura che non può essere dimenticata o banalizzata. Il Pd è oltre ogni illusione un partito che sta dall’altra parte della barricata, contro diritti fondamentali, contro un movimento popolare che si sta cercando in ogni modo di spingere verso una deriva estremista. E che intelligentemente cerca di resistere.
Abbiamo scritto, qualche giorno fa, “come si fa ad allearsi a Bersani”. Oggi è più giusto scrivere “come si fa a non contestare Bersani”.
Argomenti: pdl