Il mondo anglosassone, come si sa, fatica a seguire le barocche evoluzioni della politica italiana. Ad esempio a loro sfugge ciò che a noi non stupisce: che un presidente del Consiglio tecnico si candidi senza candidarsi e formi una “entità politico-elettorale” (per dirla con Napolitano) che si rifà alla sua agenda, ma che mantiene, almeno alla Camera, una complicata alchimia di vecchi e nuovi simboli, liste civiche e liste di partito. Proprio l’Economist, che aveva spinto SuperMario a scendere in campo, scrive che negli ultimi passaggi il professore ha combinato un mezzo pasticcio o un imbroglio (muddle, stesso termine usato qualche giorno prima dal Financial Times) .
Non riuscendo evidentemente ad apprezzare questa sublime e raffinata capacità italica di aggiustare, arrangiare, bilanciare.
O forse avendo ben capito quello che anche da noi si comincia a comprendere, e che qualcuno timidamente comincia a scrivere. E cioè che la grande spinta innovativa del montismo rischia di impantanarsi nella snervante trattativa fra vecchie logiche di partito e interessi ben consolidati. Monti può mettere al suo attivo i passi indietro di Montezemolo e Passera, esempi apicali di nuovi imbarazzanti conflitti di interesse. Ma ha dovuto subire lo stop dei suoi compagni di cordata sull’ipotesi di una lista unica alla Camera. E dovrà probabilmente accettare candidati di cui farebbe volentieri a meno.
Perché Casini non ha alcuna voglia di farsi dettare la lista dei buoni e dei cattivi, né di sciogliere il suo partito se non dopo averne dimostrato il peso, anche nel nuovo polo centrista che uscirà dalle urne del 24 febbraio. Il rischio è proprio questo: che l’operazione Monti riesca a metà: partito con l’ambizione di archiviare Berlusconi e rifondare i moderati, col sostegno di una parte consistente delle gerarchie ecclesiastiche (non tutte, come si vede dai distinguo e dai silenzi di queste ore) , potrebbe ritrovarsi a capo di un “centrino”, come profetizza il Cavaliere, che avrebbe l’unica funzione di fare ruota di scorta a Bersani (spare wheel, scrive l’Economist), in caso di necessità.
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