La presenza di Mario Monti alla messa celebrata in San Pietro domenica scorsa, durante la quale il segretario personale del Papa Georg Gaenswein è stato ordinato vescovo, ha suggellato un patto non scritto fra il Presidente del Consiglio e la Santa Sede. Un accordo che da una parte ha un significato politico, ma allo stesso tempo è anche legato alla crisi e ai problemi di cui sta soffrendo la Chiesa negli ultimi anni, compresi quelli di natura economica. Non per caso Monti era accompagnato nell’occasione da Federico Toniato, l’uomo di raccordo con il Vaticano, e poi da due ministri ‘cattolicissimi’ come Lorenzo Ornaghi e soprattutto Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio che sta giocando un ruolo non indifferente nel tessere la tela del dialogo fra i sacri palazzi e lo stesso Monti. E infatti nonostante le tante voci degli ultimi giorni circa i problemi che sarebbero intercorsi fra il premier e settori del mondo cattolico, il leader del polo di centro può contare su un rapporto con il Vaticano solido e concreto.
Il Papa, inoltre, parlando lunedì scorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, aveva chiesto per l’Europa “leader qualificati per compiere scelte difficili”, e cioè risanare i conti e avviare politiche di solidarietà. E’ questa la linea della Santa Sede che vede un’agenda Monti corretta dalla cosiddetta agenda Napolitano, cioè dal’attenzione ai temi sociali a cominciare dall’aumento esponenziale della povertà e della disoccupazione. Insomma sul piano politico, in questa fase, Oltretevere hanno le idee abbastanza chiare: si guarda al leader dei centristi e al Quirinale.
Ma il rapporto con Monti si articola anche attraverso una serie di dossier aperti che toccano direttamente o indirettamente le relazioni fra le due sponde del Tevere. Da questo punto di vista la Chiesa ha bisogno dell’autorevole appoggio del premier, anzi lo considera interlocutore autorevole e indispensabile proprio per il suo profilo internazionale visto che i problemi di fronte ai quali si trova oggi il Vaticano hanno spesso un rilievo europeo.
Nutrita la serie di questioni aperte: i contrasti con la Banca d’Italia e con la Procura di Roma guidata da un cattolico intransigente come Giuseppe Pignatone, il difficile adeguamento dello Ior – la banca vaticana – alla normativa antiriciclaggio internazionale; e ancora il pressing della Ue su temi come l’Imu per le attività commerciali degli enti ecclesiastici, quindi il timore che prima o poi a qualche partito venga in mente di ritoccare il meccanismo dell’otto per mille a sfavore della Chiesa (come del resto chiedono già da tempo i radicali). C’è poi l’enorme capitolo della sanità cattolica che in molte regioni è ormai in grandissima sofferenza. I bilanci in rosso degli enti locali, infatti, hanno quasi sempre come conseguenza un ridimensionamento delle convenzioni con la sanità privata. In quest’ambito ci sono casi clamorosi e anche scottanti sotto il profilo giudiziario, come quello dell’Idi (Istituto dermopatico dell’Immacolata) di Roma – 800milioni di buco – dove è emersa una storia di ruberie clamorose in cui è coinvolto l’ex consigliere delegato dell’Istituto, padre Franco Decaminada pure ai vertici della Congregazione dei “Figli dell’immacolata”.
Ancora va considerato il caso del Policlinico Gemelli che soffre di una crisi profonda travolto dal collasso della giunta Polverini e della sanità laziale, lo stesso Bambin Gesù, l’ospedale d’eccellenza del Vaticano a Roma, ha un bilancio passivo. Senza contare gli scandali del San Raffaele segnati dal suicidio di Mario Cal, braccio destro di don Verzè, e dal tentativo – fallito – di salvataggio dell’ospedale messo in atto dal Vaticano. E poi, da ultimo, la Procura di Roma ha bloccato l‘uso dei bancomat italiani Oltretevere, una situazione che sta provocando problemi seri di liquidità. Il dossier sanità è stato al centro dei contatti informali fra l’entourage del premier e alti prelati della Segreteria di Stato, così come la prima valutazione in materia di antiriciclaggio da parte degli organismi internazionali – Moneyval a nome del Consiglio d’Europa – sullo Ior e sulla finanza dei sacri palazzi, è stata in parte ‘moderata’ da una sapiente azione diplomatica italiana.