Morto Bignasca, il Bossi dei Ticinesi

Personaggio politico controverso, sessantasette anni, titolare di un'impresa di marmi, costituì il movimento negli anni Novanta sull'onda della Lega di Bossi in Italia.

Morto Bignasca, il Bossi dei Ticinesi
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7 Marzo 2013 - 12.51


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È morto questa mattina nella sua casa di Canobbio, alle porte di Lugano, Giuliano Bignasca, uomo politico svizzero, leader della Lega dei ticinesi e fautore di una accesa politica anti italiana. Bignasca, 67 anni, è stato stroncato con ogni probabilità da un attacco cardiaco anche se sarà l’autopsia a stabilire le cause del decesso.

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Personaggio controverso, per i suoi modi ruvidi e non solo, Bignasca era salito alla ribalta politica negli anni ’90 quando, sulla scia dei successi conseguiti in Italia da Umberto Bossi aveva fondato la Lega dei Ticinesi, movimento che si era caratterizzato fin dall’inizio per una forte avversione nei confronti del ceto politico e finanziario elvetico e per una virulenta critica al governo di Berna.

Col passare degli anni la sua posizione di “sindacato di territorio” a favore del canton Ticino aveva virato su toni marcatamente xenofobi e anti italiani. Sua la proposta di limitare per legge il numero dei frontalieri (i lavoratori lombardi che vanno quotidianamente in Svizzera e che rappresentano oggi il 25% della forza lavoro del Ticino), sue le invettive contro lo scudo fiscale voluto da Giulio Tremonti (che Bignasca ha sempre chiamato «fascetto Giulio»).

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Nel 2011 i suoi toni anti-italiani avevano toccato l’apice, quando la Lega dei Ticinesi, su impulso proprio del “Bossi svizzero” era riuscita a bloccare per oltre un anno le tasse trattenute sulle buste paga dei frontalieri e che la Svizzera deve girare al governo italiano. Era stato necessario un vertice internazionale tra Roma e Berna per sbloccare la situazione.

Le sue “sparate”, oltre ad attirargli critiche da ogni parte, avevano portato la Lega ticinese a diventare il primo partito della Svizzera italiana, superando nel 2010 la soglia del 26% dei consensi. La sua avversione nei confronti dell’Italia lo aveva portato a gesti estremi e simbolici come quello di rifiutarsi pervicacemente di mettere piede nel Belpaese. Sul punto erano però fiorite interpretazioni di altra natura.

Pochi anni fa l’uomo politico era stato interrogato dalla procura antimafia di reggio Calabria per suoi presunti contatti con trafficanti internazionali di stupefacenti; in passato Bignasca, da tutti comunemente soprannominato “Nano” aveva ammesso di aver fatto uso di cocaina.

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