di Fabio Luppino
L’unica verità ufficiale, anche se è una interpretazione, è quella dell’Unità: no di Renzi al governo Bersani. In realtà non basta nemmeno la Croce rossa per mettere in salvo il segretario Pd dal suo partito. Il sindaco di Firenze viene usato come un parafulmine, ma i malpancisti aumentano ogni giorno e in più sedi manifestano insofferenza per una condotta giudicata ormai più che paradossale. Il pre o non incaricato presidente del consiglio pd viene considerato alla meglio un capitano che ha deliberatamente deciso di portare la nave, il partito, in faccia agli scogli. Alla peggio come uno che si è messo la miccia sulla sedia dove è seduto, sia quella in pectore da capo del governo sia quella vera da leader Democrat.
Lo stallo ereditato e poi imposto dal Capo dello Stato non aiuta la chiarezza e così fioccano illazioni e scatti in avanti. Di Renzi si è abbondantemente detto: o un governo con Berlusconi o il voto per fermare la cancrena che sta devastando l’Italia (un governo con Berlusconi non significa senza Bersani, ma l’Unità ha voluto strafare). Lo stallo anche per altri si sta trasformando in una colpa del segretario (la cui unica vera colpa è essersi dotato di pessimi consiglieri) per averlo favorito. Oggi Franceschini non ne può più e lo dice: dialogare con Berlusconi. Enrico Letta non lo dice ma ormai lo pensa. Rosi Bindi va anche oltre osservando che Bersani ha come preso in ostaggio il Pd (smentisce, ma viene smentita). I cattolici di questo strano partito fremono. La scuola Dc ha insegnato l’arte del compromesso, come tessitura che in qualche modo porta ad un risultato. Da troppo tempo ormai si procede di sconfitta in sconfitta nelle mani di un capitano che sembra andare avanti da solo.
Il punto sta proprio qui. Bersani è stato sostenuto da tutti, se si eccettua il suo avversario durante le primarie. Così in campagna elettorale. Dal 26 febbraio non è più così. Ha perso lui, non tutti loro. Sono iniziate tessiture parallele rispetto a quella del segretario. Ogni tanto si alza in piedi qualcuno e propone un partito diverso, aperto a Sel, o come Fabrizio Barca, non iscritto, che si propone di dirigerlo, tra non molto, parole che suonano sconfessione all’attuale linea scelta da Bersani, così almeno è stata letta al Nazareno. I più solidi restano quelli a tradizione ex Pci-Pds-Ds o come cavolo si chiama, tornando ad un antico adagio. Le seconde file parlano, gli altri aspettano, perché un partito è un partito e va preservato.
Altro che cielo stellato sopra di noi. Nessuno oggi può scommettere su cosa accadrà domani. Un faro nella notte, si fa per dire, resta l’atteggiamento di Silvio Berlusconi. Vuole fare il governo, vuole uno scambio ragionevole, recita da statista. E l’opinione pubblica sembra aver bevuto anche questa. Se Bersani ha una possibilità di fare il capo del governo lo deve solo a Berlusconi. A quale prezzo? Un pezzo crescente del Pd si sta convincendo che il dialogo con il leader Pdl serve, ma non dà affatto per scontato il legame con un esecutivo Bersani. Meglio stare oltre la soglia della decenza sul Quirinale, carica che dura sette anni in ogni caso, che immolarsi sul tavolo del governo. Dietro l’angolo c’è anche il terzo escluso: perdere la partita su entrambi i tavoli. Sembra difficile, ma con il Pd non si sa mai.
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