di Fabio Luppino
Una volta il segretario stava fuori dalla mischia. Oggi no, sta proprio al centro delle polemiche. Bersani in queste settimane non è riuscito a mediare quando serviva, a persuadere quando poteva, ad affondare quando doveva, a rilanciare quando perdeva. Risultato, un partito arroccato su se stesso e contro se stesso. Per capire la differenza tra stature e stature: non sarebbe mai stato possibile anche in un passato recente una polemica così frontale tra il capo e l’antagonista, così come è in corso tra Bersani e Renzi, con il primo che sta sul campo ma sempre giocando di rimessa.
Attenzione, perché si sta avvicinando la partita che il Pd non può perdere, quella del Quirinale. Se si gioca male si perde tutto e anche la faccia. A Renzi è stato tolto il diritto di votare per il Colle, non può essere tolto quello di parola. Quel che ha detto su Finocchiaro e Marini può non piacere agli interessati, ma altri lo pensano e ipocritamente stanno zitti. Alla fine aiuterà, secondo noi. Quel che è da capire è quale causa. Nomi a parte il risultato uscirà dai due concetti apparentemente complementari ma paralleli su cui si opererà la scelta: se una persona largamente condivisa o se invece una personalità di alto profilo. Chi nel Pd si impicca alla prima definizione sta preparando la sconfitta del partito. E’ l’unica occasione politica, dopo i presidenti delle Camere, in cui si deciderà qualcosa di estremamente dirimente. Mai come ora serve un Capo dello Stato di grande spessore, che trasferisca al Paese la forza della sua autorevolezza e della sua libertà di giudizio. Capace di reggere davanti agli urti delle demagogie antigiustizialiste e antipolitiche. Soprattutto deve essere una scelta che il Pd sappia fare, non subire. Nel largamente condivisa ci può essere tutto: Marini, Amato, Mattarella, Cancellieri, Severino, Gianni Letta. La mediazione su tre di questi nomi (Amato, Marini, Gianni Letta) si trasformerebbe in un successo di Berlusconi.
La personalità di alto profilo discende da una valutazione che può essere fatta in forte autonomia dal Pd. A ciò possono corrispondere due nomi: Romano Prodi e Salvatore Settis. Pallidissima (a meno che qualcuno non ci smentisca nei fatti) la truppa democratica capace di spendersi per una donna, un nome significante e dal forte carattere. Finocchiaro si è chiamata fuori da sola: un aspirante Capo dello Stato non risponde alle polemicucce di Renzi. C’è in campo la Bonino, che però il Pd aiutò a prerdere con una flebilissima campagna elettorale nel corso delle regionali in cui si affermò la Polverini nel Lazio. Ma perché non pensare a Sandra Bonsanti o anche alla stessa Laura Boldrini.
Il panorama è in movimento nelle segrete stanze. Si deve credere che sia così perché in chiaro il Pd da solo di candidati ne sta bruciando più di uno. Insomma, il classico asso nella manica tipico sul Quirinale (Veltroni, Cacciari, Strada). E’ un fattore decisivo. I feroci veti tra democratici se non vengono rimossi potrebbero produrre due tragici risultati politici in uno. Perdere il Quirinale e dipendere da Berlusconi anche nella successiva partita del governo. Dove Bersani non incaricato, non desiderato, non sostenuto, si troverebbe ad abdicare ben prima di cominciare. A quel punto si perderebbe tutto, anche la faccia.
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