Rodotà premier: il Pd mostri coraggio

Non si tratta di inseguire la piazza, ma di essere coerenti con quello che si è detto per mesi: mai con Berlusconi, il paese chiede cambiamento. [Gianni Cipriani]

Rodotà premier: il Pd mostri coraggio
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Gianni Cipriani Modifica articolo

22 Aprile 2013 - 15.14


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di Gianni Cipriani

In questi giorni il dirigente del Pd Fassina ha detto che c’è una bella differenza tra chi dirige e chi segue. I primi scelgono una strada, una linea, dopo averla discussa ed eleborata, e vanno avanti. I secondi sono quelli che seguono emotivamente gli umori dell’opinione pubblica e se ne fanno condizionare.

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Un modo per dire, in questo ragionamento, che i parlamentari che hanno sostenuto la candidatura di Rodotà si sono lasciati trascinare dalla piazza e, quindi, sarebbero instabili politicamente.

A dire il vero, la lettura di Fassina mi sembra poco condivisibile. O quantomeno parte dal presupposto che la base del suo partito (non i troll infiltrati di cui parla Grillo…) sia in rivolta perché composta da imbecilli, da persone che devono portare acqua al mulino, cuocere le salsicce e firmare cambiali in bianco al gruppo dirigente, poi libero di fare come vuole.

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Ma non è questo il punto. Prendiamo pure per buono in toto il ragionamento di Fassina: chi dirige, dirige. Benissimo. Ma cosa ha detto il Pd per tutta la campagna elettorale e anche dopo? Mai con Berlusconi. E mai governissimi. “Mi vedete con Gasparri e Brunetta?” Parole di Bersani a Corviale solo pochi giorni fa.
E ancora rivolto a Berlusconi: “ti conosco mascherina”. Quindi non si dica che non lo conosce…

Il primo marzo il segretario del Pd ha lanciato il governo basato sugli otto punti “irrinunciabili” tra cui legge sulla corruzione, falso in bilancio, conflitto di interessi, incandidabilità e ineleggibilità.

Ancora pochi giorni fa il dimissionario segretario del Pd aveva detto: “Quello che sentiamo venire dal paese è un’esigenza di governo e di cambiamento, in termini ineludibili”. Ineludibili. L’ha detto lui.

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Ora se questo è vero, come è vero, il minimo che ci si possa aspettare dal Pd è che sappia seguire la linea che si è dato e sia conseguente e coerente con quello che ha promesso ai suoi elettori. Cambiamento, moralizzazione, nessun patto con Berlusconi. Lo ha detto il Pd, non la piazza, né la cosiddetta rete.

E allora, domando, le voci che vorrebbero Giuliano Amato prossimo presidente del Consiglio con vice un esponente del Pdl – se vere – come le vogliamo considerare? Il diligente risultato di una attività dirigente? Oppure il seguire il nuovo venticello neo-restauratore che ha ripreso più voga dopo le sciagurate elezioni presidenziali?

Per questo mi permetto di suggerire una diversa strada, che aiuti il Pd a recuperare coerenza e credibilità verso i suoi militanti, i suoi elettori e gli italiani che, magari confusamente, vogliono che si apra una nuova pagina della politica italiana. Il Pd indichi Stefano Rodotà come premier di un governo di salute pubblica con un programma che parta dagli otto punti di Bersani e ne concordi altri che vadano in direzione opposta alle sciagurate politiche seguite negli ultimi anni. Un governo politico, autorevole, con grandi personalità e di grande credibilità internazionale. Si potrebbe fare e avrebbe la maggioranza: lo dovrebbe perfino ammettere Bruno Vespa. Lasciate agli altri la responsabilità di dire no.

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Ma temo che il Pd non abbia questo coraggio. Diviso in fazioni peggio che il Libano della guerra civile, il partito democratico alla fine si accuccierà ai voleri di chi gli ha già imposto di digerire l’agenda Monti e tutte le controriforme e macelleria sociale connessa.

Votate Amato, poi le parole di Bersani diventaranno il manifesto dell’incoerenza e dell’inaffidabilità: “Quello che sentiamo venire dal paese è un’esigenza di governo e di cambiamento, in termini ineludibili”. Oppure mostrate il coraggio che fino ad ora vi è mancato. Siete ancora in tempo.

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