A questo punto, a che cosa serve il Pd?

Letta va sostenuto. Il premier ha esposto un programma vero, pieno di contenuti forti. Ma con Berlusconi. La linea dei democratici però non era quella. [Fabio Luppino]

A questo punto, a che cosa serve il Pd?
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29 Aprile 2013 - 19.22


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di Fabio Luppino

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Enrico Letta è una brava persona. E’ uno di noi, quelli cresciuti politicamente negli anni ottanta, lontani dai furori ideologici, dalle speranze messianiche, ma dotati di senso pratico e di convinzioni profonde, anche religiose senza che esse siano il tratto essenziale. Ecco perché è credibile come presidente del Consiglio. Ha scelto il Pd, ma viene da un altrove e poteva stare tranquillamente da un’altra parte a seminare con pazienza in attesa di sicura raccolta.

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Allora, perché non augurarsi la durata del suo governo? Ha mediato con Berlusconi, ha ceduto e ottenuto, ha composto una squadra di persone toste e dignitose, che meritano sostegno e applausi. Si comincia a capire qualcosa, ci sono passaggi lineari. Chi rimpiange il disastroso spettacolo offerto soprattutto dal Pd nelle scorse settimane? A cosa ci serve un partito così? E’ una domanda seria. Quanto valga politicamente il Movimento Cinque Stelle sta uscendo con i fatti: anche le strambe parole usate in Parlamento per contrastare il governo denotano un’enorme scarsità di sostanza. Se il Pd non ha vinto, i grillini non hanno saputo gestire la vittoria: due facce della stessa medaglia. Ma sei i grillini non erano politica e forse mai lo diventeranno, il Pd no, sarebbe la politica per eccellenza. Il risultato: mesi e mesi a dire con Berlusconi mai e oggi a dire, dimenticatevi il giaguaro, non c’è più niente da smacchiare. Allora uno si chiede: quale è stato il vantaggio politico di mesi e mesi di campagne per le primarie, e poi di campagna elettorale, tirate contro Berlusconi, contro il governo Monti, i tanti mai più ascoltati dai palchi di mezza Italia. Molti si chiedono anche a cosa siano serviti e che fine hanno fatto i due euro versati per votare alle primarie, dati ad un partito che non ha mai detto di voler rinunciare, prima, al finanziamento pubblico.

La scossa grillina ha cambiato l’agenda del Pd una settimana dopo e l’incapacità di una gran parte di classe dirigente democrat ha fatto il resto. Oneste persone che si mettono al servizio del Paese si trovano. Non hanno bisogno di un partito, insomma. A parte Orlando, messo tra l’altro ad occuparsi di un ramo, l’ambiente, diverso dal suo proprio, la giustizia, gli altri hanno avuto percorsi non politici. La selezione di queste persone l’ha fatta la vita pubblica, non il Pd, che le ha candidate, ma esistevano già: non hanno avuto bisogno della politica.

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Letta ha detto tutte cose condivisibili e se si ha a cuore il destino della nazione si deve fare il tifo affinché si facciano: su tasse, su Iva, su fine del finanziamento pubblico, su esodati, su Istruzione, su lavoro. I processi di Berlusconi andranno avanti, ma in questi anni tra prescrizioni e legittimi impedimenti sono rimasti quasi una variabile indipendente, in passato e anche oggi: prova ne sia l’accordo odierno. E se ad un certo punto Berlusconi dovesse scoprire che ha un’età ormai avanzata e un partito che potrebbe strutturarsi finalmente malgrado sé e raccogliere i frutti di questa attività di governo, allora solo le spinte centrifughe dentro il Pd potrebbero costituire ostacolo alla durata dell’esecutivo.

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Quale sarà il senso compiuto, nell’interesse del Paese, del futuro congresso del Partito democratico? L’ultimo sussulto da partito ha prodotto l’emergere di correnti vendicative le une con le altre, l’incapacità della guida di arginarle tanto da finirne vittima, e l’estrema prostrazione davanti a Napolitano per essere tirati fuori dai guai, ancora una volta. I furori estremi hanno prodotto le larghe intese. Sarebbe utile tirare una bella riga, ripartire senza dire e poi tra qualche mese disdire. Lo spirito originario del Pd sembra totalmente smarrito. Laburisti e conservatori in Inghilterra non hanno mai governato insieme, si sono sempre rispettati, ma uno contro l’altro. Allora, non si potrà assistere alla rivendicazione di essere di sinistra senza chiedersi il senso ultimo, sul governo che c’è, di un esito politico in cui dovesse prevalere questa posizione sulle altre. E se, al contrario, dovesse affermarsi una posizione moderatamente progressista, con al centro il sostegno al governo, con tutti gli equilibrismi del caso, allora sarebbe meglio ammucchiare tutto e addirittura cambiargli nome. Che so, chiamarlo Democrazia cristiana. Si accettano suggerimenti.

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