Quando quasi il 40% dei giovani non trova lavoro, e se lo perdi dopo i quarant’anni non lo trovi più, il governo non può che avere come priorità quella del lavoro. La riforma Fornero non ha sostituito i contratti a tempo determinato e indeterminato con un contratto unico, cioè non ha riformato il mercato del lavoro. Il risultato paradossale è che oggi assumere è diventato un po’ più difficile. Meglio i contratti a tempo determinato della disoccupazione. La Fornero va riformata perchè ha complicato assunzioni e contratti.
C’è poi il capitolo fiscale e contributivo. A causa delle tasse sul lavoro in Italia un lavoratore non sposato costa all’impresa circa due volte il suo stipendio netto, contro un rapporto pari a 1,7 nel resto dell’area euro. I contributi sociali ammontano a circa 230 miliardi. Per riportare il cuneo fiscale a livelli europei servono circa 50 miliardi.
Quindici si possono recuperare eliminando tutti i sussidi, come da mesi chiede Confindustria. Altrettanti tagliando detrazioni fiscali, come proposto dalla Commissione Ceriani. Sette miliardi si possono recuperare, cancellando i corsi di formazione regionale che servono sopratutto a chi li organizza a caro prezzo. Una decina di miliardi, la stima è della Uil, potrebbero arrivare dal taglio dei costi della politica, a cominciare dai rimborsi elettorali. Il resto si ottiene attraverso una maggiore equità fiscale.
Ai contribuenti più abbienti si propongono aliquote più basse, ma costi dei servizi più elevati, a cominciare da sanità e università. Per farlo occorre riformare l’Isee (Indicatore della situazione economica equivalente), lo strumento che consente di far pagare alcuni servizi in funzione del reddito, che il governo uscente non è riuscito a far approvare e che nella sua formulazione attuale fa sì che molti ricchi ai fini sociali, case popolari comprese, risultino poveri ed indigenti.
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