Silvio Berlusconi non demorde: io sono l’unico in grado di guidare la Convenzione e di portare a termine l’iter delle riforme, insiste l’ex premier nei colloqui privati. Il Cavaliere, tuttavia, sceglie – almeno per il momento – il low profile, lasciando la trincea ai suoi fedelissimi che vanno all’attacco: «non accettiamo veti dal Pd sul nome di Berlusconi». Altero Matteoli arriva a minacciare la caduta del governo: «I veti politici preconcetti sono inaccettabili su chicchessia ed in particolare lo sono sul leader del Pdl e se messi davvero in atto porterebbero dritti al voto anticipato».
Più sfumate, ma non meno “minacciose”, le parole del coordinatore Sandro Bondi, che ricorda come il Pdl sia uno degli azionisti di maggioranza dell’esecutivo: «nessuno ha il diritto di porre veti o pregiudiziali sulle persone, tantomeno su chi ha reso possibile la nascita di questo governo». Dunque, la strada della Convenzione si fa sempre piu’ in salita e rischia di non vedere mai la luce.
I veti incrociati e il timore pidiellino che alla sua guida possa arrivare un nome “sgradito”, come quello di Stefano Rodotà, rende difficile la mediazione. Resta da capire, viene spiegato, su quali basi saranno scelti i nomi “esterni”, mentre dal Pd c’è chi insiste sulla necessità che sia composta solo da non parlamentari. Ma Berlusconi punta i piedi: non se ne parla e punta a veder riconosciuto il giusto peso del partito.
Intanto, spunta l’ipotesi che alla fine l’iniziativa possa essere assunta direttamente dal governo, bypassando la Convenzione. Non solo. C’è già, nella maggioranza, chi insiste affinché la legge elettorale si faccia subito, a prescindere dalla Bicamerale. A ciò si aggiunga che l’auto candidatura del Cavaliere non è affatto una boutade.
Il leader del Pdl vuole lasciare il segno – ripete ai suoi interlocutori – ed essere l’artefice delle tanto agognate riforme costituzionali, il nuovo “padre costituente” del Paese. Ma la partita delle riforme finisce con il legarsi a doppio filo con i malumori interni al partito di via dell’Umiltà.
Il doppio no di Renzi e Fassina alla auto-candidatura di Berlusconi riaccende lo scontro interno alla maggioranza e il Pdl insorge: «non accettiamo veti». Lo stop del Pd, in realtà, è la miccia che fa esplodere i malumori che da giorni covano sotto traccia nel partito di via dell’Umiltà e la questione della presidenza dell’organismo che dovrà mettere nero su bianco le riforme è l’occasione per dare il là ai mal di pancia interni.
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