Ogni tanto qualcuno si sveglia (male) e incomincia a scrivere e sciorinare fiumi di (inutili) parole, sulle prime pagine dei giornali, nei talk show, nelle homepage dei siti online. Non gli va giù. Non gli va giù che si dica e si scriva femminicidioperché quella parolina lì richiama a responsabilità precise, personali e collettive.
Ma che parola orripilante, dicono, ma che brutto usare questo termine così [i]zoologico[/i], continuano, ma perché non lo sbattiamo fuori dal linguaggio, aggiungono. L’ultimo – ma solo in ordine di tempo – Guido Ceronetti su Repubblica di un paio di giorni fa. Il celebrato scrittore vorrebbe usare ginecidio, spiega. “Non è un neologismo bellissimo, ma appartiene alla schiera dei derivati dal greco classico (giné-gynekòs) che suonano in italiano benissimo: gineceo, ginecologia, ginecofobia, misoginia, ginecomanía, ginandria…”. Massì, il greco ci salverà. Gineceo (parte della casa riservata alle donne); Ginecologia (studio e cura delle malattie dell’apparato riproduttivo e sessuale della donna); Ginecofobia (patologica ripulsione per la donna); Misoginia (atteggiamento di avversione generica per le donne); Ginecomania (attrazione morbosa verso le donne); Ginandria (pseudoermafroditismo congenito femminile). Ma quanto è colto sig. Ceronetti! Ma quanta intellettuale sapienza! ]Ohibò, quanta erudizione! Peccato che così facendo contribuisce, lei insieme a tant@ altr@, a sostenere veramente e nel profondo certa cultura che genera e sostiene la violenza, proprio quella violenza che si accanisce su noi donne. Perché di una cosa siamo sicure: favorire quella cultura lì – che ci vuole ammazzare semplicemente perché diciamo No! – lo si fa di sicuro ostacolando l’uso di un termine che proprio quella stortura vuole denunciare.
La parola femminicidio non le piace? Se ne faccia una ragione e la smetta di usare ipocritamente stampa e giornali solo per paura di affrontare a tutto tondo una questione spinosa. Perché il femminicidio – non la semplice parola ma tutta l’orrida faccenda di cui lei, ovviamente, non parla – la riguarda, ci riguarda tutt@. Perché ci racconta di quanto siano malate le relazioni fra donne e uomini. Di quanto ancora la subcultura imperante vuole noi donne prone e sottomesse. Di quanti stereotipi intorno a noi dobbiamo liberarci. E prenderla esclusivamente dal punto di vista dotto e lessicale tradisce solo l’immenso terrore di una presa di coscienza generale. Quello che non dovrebbe piacerle, infatti, non è la parola ma IL FEMMINICIDIO.
Non ci soffermiamo sulle origini del termine poiché la bibliografia, ormai, è sterminata. Sappiamo, intanto, che è entrato – finalmente – anche nei vocabolari e nelle enciclopedie. Dalla Treccani: “Uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica o annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale. Le donne non possono lavorare, andare a scuola, frequentare i bagni pubblici, lavare vestiti al fiume, camminare da sole, viaggiare se non accompagnate da un maschio adulto della loro famiglia, calzare sandali che emettano suoni, essere assistite da un medico durante il parto. Questi divieti si sono tradotti in un femminicidio prolungato, per fame o per infezioni, ma non sempre indiretto. (Guido Rampoldi, Repubblica, 7 ottobre 2001, p. 12, Politica estera); “Un termine forte ma che rende l’idea: femminicidio. È l’olocausto patito dalle donne che subiscono violenza: da Nord a Sud, per aggressioni domestiche o fuori di casa, per casi meno eclatanti o finendo all’ospedale quando non al cimitero. Per mano di famigliari, compagni, congiunti, per lo più. (Roberto Lodigiani, Stampa, 17 gennaio 2008, Novara, p. 65)”.
Che vergogna dover ancora leggere – l’altro ieri, sul Messaggero, – “Uccisa per il profilo su Facebook”; su Repubblica: “Donna uccisa dal compagno per un falso profilo Facebook”; sull’agenzia di stampa Adnkronos “Bari: uccisa dall’amante, lui era geloso per falso profilo su Facebook”, e via così minchiando per altre ottantaquattro resoconti “giornalistici”. Ma lo volete capire che il movente è il femminicidio stesso? E cioè che Francesca Milano, 42 anni, di Gioia del Colle, scomparsa la sera di Santo Stefano e ritrovata morta nelle campagne di Castellaneta dopo essere stata strangolata in auto dal compagno Nunzio Proscia, voleva semplicemente decidere della sua vita come meglio le aggradava (e quindi anche creare un nuovo profilo Facebook, come facciamo tutt@)? Che se non ci fosse stato Facebook il pretesto poteva benissimo essere qualunque altro? E infatti, è bastato aspettare un giorno: ieri la causa di questo ennesimo femminicidio italiano era Facebook, oggi – ovviamente con tutti i microfoni aperti alle menzogne e alle farneticazioni del tizio, vivo, mentre la morta resta muta e indifesa dinanzi alla morbosità sempre più invadente dei media – ecco la rivelazione: lei l’aveva umiliato chiamandolo fallito. Certo, e domani chissà cos’altro uscirà fuori.
Che disgusto. Noi riteniamo che la reale causa di questi assurdi ammazzamenti sia, semplicemente, l’incapacità degli uomini di accettare la libertà delle donne. La loro brutale ossessione di controllo. La loro inabilità mentale nel riconoscere la diversità e di provare rispetto e tolleranza per chi non la pensa come loro. Ma soprattutto, di riconoscere che la propria compagna, convivente, fidanzata, moglie, amante, non sono oggetti ma persone. E non di proprietà, come il patriarcato insegnava e – purtroppo – ancora insegna.
Ceronetti & Co. , è anche grazie a voi se, oltre a subire quotidianamente femminicidio, stalking, molestie, abusi, percosse e violenze saremo obbligate ad aspettare i prossimi trent’anni perché questa barbarie, ancorché nel linguaggio, venga riconosciuta e combattuta anche nella realtà di tutti i giorni.
Ps. Dall’inizio dell’anno ad oggi in Italia sono state uccise oltre 130 donne per femminicidio. Lo scorso anno erano state 124.
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