L’assurda macchina dei Cie. Nei centri di identificazione e di espulsione vengono rinchiusi anche italiani di fatto, insieme ai migranti irregolari in attesa di rimpatrio. E’ il caso di Ronny, 21 anni, cresciuto in Italia dall’età di tre anni, che parla con l’accento toscano e ha tutta la famiglia nel nostro paese. A causa dei precedenti penali e della legge sulla cittadinanza, la polizia ritiene che il ragazzo debba essere rispedito in Albania, anche dopo aver vissuto praticamente tutta la sua vita in Italia. Ma Ronny è rinchiuso nel Cie di Bari anche perché deve essere “identificato”, come se fosse un immigrato irregolare di cui non si conosce l’identità.
[url”L’INTERVISTA A RONNY”]http://www.redattoresociale.it/Multimedia/Video/Dettaglio/458563/Ronny-in-Italia-da-quando-aveva-tre-anni-lo-rinchiudono-in-un-Cie[/url]
La burocrazia dell’identificazione può essere molto lenta (fino a 18 mesi). In pratica il ragazzo è rinchiuso in una struttura di detenzione amministrativa, non penale, perché le autorità italiane non sanno chi è e ritengono che l’Albania sia lo Stato in cui il ragazzo deve vivere. Ma il giovane non può rispettare l’ordine della polizia di lasciare Lucca perché tutta la sua famiglia si trova in Toscana e suo fratello è cittadino italiano.
“E’ possibile che dando un’interpretazione restrittiva della norma, ad esempio se la persona non ha rispettato l’ordine di lasciare il territorio nazionale, la polizia possa affermare in questo caso di avere rispettato le regole trattenendo il ragazzo – spiega l’avvocato Salvatore Fachile, esperto di immigrazione – ma l’applicazione della legge deve anche essere ragionevole e in questo caso è chiaro che non lo è. Dentro i Cie non possono stare persone che hanno forti radici in Italia, questo è assurdo, per quanto potrebbe essere legale”. (Raffaella Cosentino)