Prevedo che la partita sulle riforme e sul Presidente della Repubblica la vinceranno, allagrande, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, che la minoranza Pd e Sel andranno incontro a un’altra poco onorevole sconfitta, e che alla fine del percorso legge elettorale – riforma del Senato – nuovo Capo dello Stato, l’Italia sarà un paese meno democratico e di nuovo democristiano, dominato dal Partito della Nazione che presto verrà, con una sinistra a pezzi tutta da ricostruire e con una destra destinata a confluire sulle posizioni nazionaliste, anti-europee e xenofobe di Matteo Salvini.
Con le riforme renziane avremo istituzioni non più elette dai cittadini, governate da un esercito di nominati dalla politica, proprio nel momento in cui la politica non è mai stata così mediocre e screditata come ora. E’ già così per le Province, diventate ibridi enti di secondo grado al servizio dei sindaci. Sarà così per il nuovo Senato, che verrà nominato nientedimeno che dalle Assemblee legislative delle Regioni, ovvero di quelle 17 Regioni su 20 che sono attualmente sott’inchiesta per le “spese pazze” dei suoi consiglieri: i futuri senatori. E sarà così anche per la nuova Camera dei deputati dove, con i capilista bloccati nei 100 collegi elettorali, si calcola che il 70% degli eletti sarà di fatto nominato dalle segreterie politiche e soltanto il 30% sarà scelto dagli elettori con le preferenze.
La timida battaglia della sinistra contro queste riforme è persa. I tentativi di migliorare il pessimo impianto della riforma del Senato finora non hanno dato alcun esito apprezzabile. L’Italicum, che nella prima versione votata anche dai dissidenti del Pd alla Camera era una legge di regime (maggioranza assoluta alla coalizione vincitrice con appena il 37% dei voti, soglia dell’8% ai partiti non coalizzati, liste bloccate), nell’ultima stesura frutto dell’accordo Renzi-Berlusconi appare un po’ meno scandaloso (soglia al 40%, premio alla lista e non più alla coalizione, sbarramento al 3% per chi va da solo, preferenze ma non per i capilista che restano bloccati) ma rimane una legge che ci porterà ad avere un Parlamento di nominati e che aprirà presto la strada al presidenzialismo.
Il Patto del Nazareno con questi aggiustamenti è più forte che mai. E ormai è evidente a tutti che quell’accordo tra l’ex Cavaliere e il suo vero erede riguarda anche il nuovo inquilino del Quirinale. Se sarà, com’è assai probabile, una personalità di secondo piano riconoscente con Renzi e disposta a ridare “agibilità politica” a Berlusconi, il moderno piano di rinascita nazionale di “Renzusconi” sarà completato. I nomi che girano vanno quasi tutti in quella direzione. In modo esplicitamente scandaloso nel caso di un Giuliano Amato o di un Pierferdinando Casini al Colle. In modo meno eclatante ma ugualmente congeniale con la possibile elezione di Pier Carlo Padoan e anche di Sergio Mattarella.
Il nome presentabilissimo di Romano Prodi è ormai solo uno specchietto per le allodole. Se dopo aver bruciato Franco Marini e concorso a far fuori il “professore” di Bologna, Renzi mandasse avanti candidature come quelle di Pierluigi Castagnetti o Roberta Pinotti sarebbe scandaloso. L’unico nome che sulla carta sembrerebbe garantire spessore istituzionale ed indipendenza politica è quello di Anna Finocchiaro, ma la vedo dura dopo quel che disse a suo tempo del premier che l’aveva attaccata per la spesa all’Ikea con la scorta: “E’ un miserabile – sentenziò la Finocchiaro – chi si comporta in questo modo potrà anche vincere le elezioni ma non ha le qualità umane indispensabili per essere un vero dirigente politico e un uomo di Stato”. Se poi Renzi, com’è probabile, tirerà fuori dal cappello un nome a sorpresa, semmai un altro toscano come quell’Ugo De Siervo, ex presidente della Consulta, che è stato anche il suo professore all’Università, allora, se avete un’anima di sinistra e non vi volete rassegnare al Partito della Nazione, potete cominciare a fare le pratiche per emigrare. Semmai prendendo la nazionalità greca, dal momento che in Italia non si vede ancora all’orizzonte qualcuno in grado di incarnare l’esperienza di Tsipras in Grecia e di aggregare un’area elettorale che vada molto al di là del solito 3% a cui ci ha abituato la sinistra radicale nel nostro Paese. Ma perché questo avvenga, ci vorrebbero le “idee lunghe” di una sinistra moderna che riesce a immaginare un’alternativa vera all’economia liberista e un mondo diverso. E non mi sembra che, per questo, possano bastare un Maurizio Landini o un Niki Vendola. Men che meno uno come Sergio Copfferati.
[GotoHome_Torna alla Home]
Argomenti: matteo renzi silvio berlusconi