Chi ha ordinato di gonfiare i dati delle primarie non può passarla liscia. Ha danneggiato il partito nel modo più stupido che si possa immaginare, e ha prodotto nuovo sconcerto tra gli elettori. Il risultato non è inficiato e, tutto sommato, la partecipazione non era stata neppure bassa rispetto alla povertà di contenuti nel confronto tra i candidati. Certo, se il Pd avesse promosso una lista civica di centrosinistra aperta alle competenze più innovative, alle forze sociali e alla cittadinanza attiva, avrebbe ottenuto una partecipazione al voto superiore alla soglia dei centomila. Sarebbe stata una festa democratica, avrebbe dato al candidato lo slancio decisivo per vincere le elezioni.
Era l’occasione per far vedere un vero partito democratico, e invece ha vinto la miopia del ceto politico. Quando prevale il piccolo cabotaggio, non ci sono più strumenti politici per innalzare la partecipazione e restano solo i trucchi contabili. Nulla accade per caso; anche uno stupido episodio come questo è il sintomo di una malattia. E far finta di niente, ridimensionare, sopire e sperare che passi non è la terapia giusta. Anzi, la patologia si aggrava se i responsabili restano ignoti, se chi sbaglia rimane ai posti di comando. Mi aspetto che gli organi di garanzia prendano provvedimenti senza guardare in faccia a nessuno.
I “notabili” hanno portato alla crisi del partito romano, prima con Mafia capitale, poi con le firme dal notaio, e da tempo con la palese impreparazione nel programma di governo. Ora sappiamo che possono far male al Pd non solo per arroganza ma anche per idiozia.
Sappiamo anche che il commissariamento non ha risolto il problema. Anzi, per non riformare la struttura di partito ha sviato l’attenzione sui circoli, i quali proprio nelle primarie si sono confermati, invece, come l’unica forza capace di mobilitare i militanti e gli elettori. È tempo di commissariare il commissariamento affidando le gestione della campagna elettorale a un Consiglio dei Garanti, da scegliere tra le personalità più autorevoli, indipendenti e libere da incarichi parlamentari o politici. In tal modo si evitano altre figuracce e si crea il clima sereno per un impegno corale a sostegno di Giachetti che ha vinto le primarie ed è pienamente legittimato come candidato sindaco.
Al Consiglio spetta anche il compito di preparare il congresso per organizzare il Pd romano secondo un modello mai visto prima. Sarà un lavoro lungo e difficile, ma la direzione da prendere è indicata proprio dalle ultime vicende.
C’è da domandarsi perché da diverso tempo non si riesca a festeggiare il risultato di questi appuntamenti, spesso offuscati dagli errori e da scene desolanti ben vive nella memoria di tutti. Si alza subito la richiesta di nuove regole, poi cala il sipario e non se ne fa più nulla. Eppure non è colpa delle primarie, ma del partito che non riesce a rappresentarne l’etica democratica.
Si è ormai generato un contrasto tra la forma politica e la sua regola fondativa. È un’organizzazione gerarchica diretta dai leader mediatici e dai padroni del territorio, ma proprio questo modello frena la partecipazione che pure viene evocata dall’invenzione delle primarie. È un partito verticale con una regola orizzontale. L’attuale PD è ortogonale a se stesso. Per questo, gli capita, anche inconsapevolmente, di smentire le aspettative del suo popolo.
Si tratta allora davvero di cambiare verso, di mettere il partito in parallelo con la partecipazione politica, chiamando i militanti e gli elettori a scegliere non solo i candidati ma anche i punti salienti del programma di governo. L’innovazione potrebbe cominciare proprio da Roma. Laddove è il rischio è anche ciò che salva.