Roma, perché i rottamatori sono stati rottamati
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Roma, perché i rottamatori sono stati rottamati

Il Pd può spiegare la sconfitta in due modi: o dando tutta la colpa a D'Alema e ai gufi o interrogarsi del perché non rappresenta più i ceti popolari

Giachetti e Raggi
Giachetti e Raggi
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Gianni Cipriani Modifica articolo

19 Giugno 2016 - 23.43


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Virgina Raggi non ha vinto, ma ha stravinto. E ha vinto – a mani basse – di fronte a una classe politica tradizionale che a Roma è riuscita a dare il meglio del peggio, tra giochi di cortile, arroganza e l’immarcescibile convinzione che alla fine l’appoggio di costruttori e palazzinari, compresi i loro house organs, alla fine potesse consentire una vittoria miracolosa.
Del centro destra, delle sue divisioni, del suo rispolverare il Duce e vecchi attrezzi è inutile parlare oggi.
Per quanto riguarda il grande sconfitto, ossia il Partito Democratico di Renzi, c’è da capire se questo bagno insegnerà qualcosa, o se la caveranno dando la colpa a D’Alema e ai gufi e a spostare l’attenzione dai veri problemi: ossia essere diventati un partito vissuto come sempre più lontano dai ceti popolari, tanto da aver perso in tutte le periferie e vinto solo in qualche zona “bene”.
In questa settimana ho vissuto la vigilia del ballottaggio romano da due angolazioni diverse: la prima è stata quella di un dirigente democratico romano. La seconda attraverso le testimonianze dei militanti del Circolo Berlinguer del Quadraro, ossia un quartiere storicamente rosso di Roma sud.
Cosa diceva il dirigente del Pd? La colpa era di quelli come Fassina che hanno remato contro. La colpa era di D’Alema, che ha remato contro. La colpa era del martellamento del Manifesto e del Fatto Quotidiano. La colpa di quelli che su internet offendono il Pd, la colpa è di quelli che hanno compiuto una sorta di sacrificio di Origene, ossia far vincere M5s per liberarsi di Renzi pur di mantenere la purezza della sinistra.
Quelli del Circolo Berlinguer raccontavano una realtà diversa, da buoni conoscitori del quartiere: al mercato, nei bar e nei luoghi frequentati da persone tradizionalmente elettori della sinistra, la stragrande maggioranza avrebbe votato la Raggi, qualcuno si sarebbe astenuto, sulla punta delle dita della mano si contavano quelli che avrebbero votato Giachetti: non si sentono più rappresentati dal Pd.
Due visioni diverse: quella mediata dalle stanze del potere, tutta politicista. E quella di coloro che sentono gli umori della gente.
La vittoria della Raggi, ma soprattutto la disfatta di Giachetti, a mio avviso, si spiegano poco con D’Alema e Fassina (che non sono così potenti da orientare il voto della maggioranza dei romani) ma proprio con l’inesistenza di un partito capace di parlare e ascoltare la città, ma rinchiuso nei palazzi del potere, nei consigli di amministrazione, convinto che a forza di telegiornali e di giornali ispirati dai palazzinari si potesse andare avanti.
E poi Renzi, il grande sconfitto. Da quando è premier ha una copertura mediatica – molto accondiscendente – nella quale ha potuto snocciolare le sue cifre e le sue presunte vittorie. Dalle migliaia di posti di lavoro creati con il Jobs Act, ai cantieri che riprendono con l’Italia che si sblocca, all’innovazione, alle riforme.
Oggi i dirigenti del Pd si lamentano di questo complotto anti-Renzi; lo stesso Giachetti ha cercato più volte di smarcarsi, ricordando che si votava per il Campidoglio e non era un referendum pro o anti-Renzi.
E come mai allora gran parte dell’opinione pubblica è così ostile al premier, se tutti questi successi fossero veri?
Mi permetto di pensare perché l’Italia reale non è quella ultimamente raccontata da Renzi. Perché gli strati popolari, ossia quelli che un tempo votavano sinistra, non si sentono rappresentati da questo Pd che vivono troppo spostato a favore delle imprese e delle banche. Troppo filo-Marchionne e nemico dei sindacati. Troppo twitter e poco presente nelle periferie sempre più degradate. Mi sbaglio? Non credo.

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Io non so cosa il Pd vorrà fare e, ad essere sincero, poco mi interessa.
Ma ci sono due strade: la prima è quella di continuare con i giochini di palazzo, con le primarie un tanto all’euro, con le correnti, con le decisioni calate dall’alto e con un decisionismo che crea solo macerie e strappi.
L’altra è quella di ricominciare ad ascoltare la gente, raccontare e lottare per l’Italia reale stretta nella morsa della crisi economica e da scelte che negli ultimi dieci anni – dati ufficiali – hanno fatto diventare i ricchi più ricchi e i poveri più poveri, in barba a qualsiasi principio di giustizia sociale, riformista o di equa distribuzione che dir si voglia.
Per tornare alla Capitale ai dirigenti del Pd e al neo-sindaco Virginia Raggi do sommessamente un consiglio: passate un pomeriggio con i militanti del circolo Berlinguer: capirete Roma, le sue delusioni e le sue aspirazioni e tanti perché, che nemmeno chiamando a raccolta uno stuolo di politologi e di alati pensatori…

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