Gli insulti a don Ciotti? Sembrano messaggi da servizi deviati

Su un muro di Palermo hanno dato del secondino al fondatore di Libera: la cosa puzza

Il fondatore di Libera don Luigi Ciotti
Il fondatore di Libera don Luigi Ciotti
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

26 Marzo 2017 - 20.52


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Quelle scritte di Palermo che oltraggiano l’impegno di don Ciotti e il sacrificio di Dalla Chiesa puzzano, e tanto. Strane nella formulazione e nella composizione, anche grafica. Cominciamo dal luogo: il muretto di un’area verde che porta il nome di Rosario Di Salvo, ucciso con Pio La Torre nell’aprile dell’82. Siamo al quartiere Noce, vecchia Palermo, quartiere di potenti ma antiche cosche. Scelta quasi scolastica, che ha puntato ad oltraggiare un delitto nel quale l’attacco della mafia è dichiaratamente politico, contro un politico che provò a cambiare la politica.

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Andiamo alle scritte. Non sono frutto di una “minchiata” da ragazzi; “picciotti” del quartiere, non c’è la mano di qualcuno che è di qui e che abbia risposto all’ordine di un boss “incazzoso” della zona. Rileggiamo la prima: “Sbirri siete voi, don Ciotti secondino”. Penso che a Palermo non ci sia una sola persona che spinta da  impeto contro l’antimafia possa usare la parola “secondino”. Non c’è nella storia delle ingiurie di strada un solo caso nel quale qualcuno si sia rivolto con rabbia verso l’avversario apostrofandolo con “secondino!”. Mai traccia di una scritta vergata sui muri di Palermo con questa  “ingiuria”. Strano, molto strano.

Poi, l’insulto a Carlo Alberto Dalla Chiesa, nemico giurato di mafia, terrorismo e di quegli altri poteri a braccetto con l’una e l’altro. Storia docet. Andiamo ai simboli e ai segni che accompagnano le scritte: sbandano da destra a sinistra, con un prevalente “segno” nero, non solo per il colore usato.
Queste scritte contro don Ciotti, come si sa, vengono dopo quelle di Locri, alla vigilia delle grandi manifestazioni antimafia di tante altre città italiane. Dopo Locri, Palermo, e l’episodio inquieta. Fa riflettere che sia accaduto, inquietano luoghi, modi e “grafie”. A mio parere, più che un insulto suonano come un messaggio. Del resto l’attacco mafioso alla democrazia, a Palermo come nelle stragi di Roma, Milano, Firenze, è stato sempre segnato da grandi interrogativi sulle reali forze criminali in campo, ma anche “messaggi” più o meno sofisticati. Tra i mittenti, uno lo voglio ricordare, quella sigla “Falange armata” che tornava più per “mandare a dire” che per rivendicare. Mai chiarito lo scenario dietro quella sigla, tanti elementi hanno fatto pensare che dietro la sigla ci fossero composizioni, meglio ricomposizioni, di pezzi di Servizi deviati. Quelle entità che spesso tenevano lo stesso passo di Cosa nostra, qualche volta lo anticipavano, altre volte arrivavano subito dopo per confonderci.

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A volte suggeritori, a volte facilitatori, a volte nelle vesti del “mister Wolf”, quello che risolveva “problemi” nel “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino.  

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