In principio è stata la politica dei “due forni”, con il Movimento 5 Stelle che si è rivolto indistintamente al Partito Democratico e alla Lega per trovare un accordo di governo. Alla fine è rimasta solo la Lega, con cui i grillini sono impegnati da qualche giorno per stilare l’ormai famoso “contratto di governo”.
Dall’accordo al “contratto”. Si tratta di una prassi mutuata dalla Germania, dove è normale trovarsi di fronte a un accordo da scrivere con le altre forze politiche con cui si vuole condividere l’esperienza di governare il Paese. Una formula politica che ben si presta, in generale, all’interno dei sistemi in cui i primi partiti difficilmente abbiano i numeri per governare da soli. L’obiettivo è di individuare quei temi su cui sia possibile trovare delle convergenze. Non un semplice elenco delle cose da fare, tuttavia, ma una disamina dei problemi da affrontare, insieme e le modalità con cui approcciarli e alle soluzioni. Si parte, ovviamente, dai programmi di governo e si cerca di capire su quali punti è possibile trovarsi d’accordo e quali sono gli eventuali punti di contatto. L’uso del termine “contratto” per indicare quello che un tempo era chiamato “accordo” o “compromesso” nasconde una volontà. O una necessità. Secondo alcuni costituzionalisti, chiamando “contratto” quello che non è altro che un classico accordo di coalizione post-elettorale, i partiti contraenti mirano a rassicurare l’opinione pubblica e, forse, anche se stessi. Resta il fatto che le parole hanno un senso e se si fa riferimento a termini di diritto privato per questioni di diritto pubblico, evidentemente qualcosa sta cambiando. Quanto al merito del “contratto di governo”, dalla bozza fatta circolare nella serata di ieri è possibile estrapolare i punti salienti su alcune tematiche a carattere sociale. Vediamoli in sintesi (i singoli lanci di approfondimento sono disponibili per i nostri abbonati).
Il reddito di cittadinanza entra nel “contratto”. Che fine farà il Rei? Alla fine Di Maio l’ha spuntata. Stando all’ultima bozza del “Contratto per il governo del cambiamento” tra Movimento 5 stelle e Lega da cui dipendono le sorti del futuro esecutivo del paese, il Reddito di cittadinanza è cosa certa ed è esattamente quello che hanno sempre sognato i pentastellati. Ma restano tutte le incognite sui prossimi passi. Nella bozza di mercoledì sera, 16 maggio, infatti, il reddito di cittadinanza compare al punto 18 e rispetto ad altri punti del testo, ha solo un passaggio che “necessita di un vaglio politico primario”, ovvero quello in cui si sottolinea che il beneficiario potrà perdere il reddito di cittadinanza se non accetta tre proposte dei centri per l’impiego nell’arco di due anni. Neanche le previsioni dell’Inps sul costo che potrebbe avere la misura di sostegno al reddito del M5s (ovvero quasi 38 miliardi di euro, secondo Tito Boeri) hanno fatto cambiare idea all’asse Di Maio-Salvini: se ci sarà un governo giallo-verde, ci sarà un reddito di cittadinanza, al costo di 17 miliardi di euro l’anno. Per Cristiano Gori, docente di politica sociale all’Università di Trento e principale ideatore del Reis, “guardando agli obiettivi dichiarati e all’enfasi attribuita, questo governo continuerà il rafforzamento delle politiche contro la povertà in Italia”. Ma, avverte, “per costruire a livello locale una misura innovativa in un paese che ha sempre lavorato poco sulla lotta alla povertà c’è bisogno di una stabilità delle politiche”. Roberto Rossini, presidente delle Acli e portavoce dell’Alleanza contro la povertà, è fiducioso: “Il Rei è il primo step perché riguarda i più poveri. Potrebbe ora esserci un ‘Rei 2’ che lo completa”.
Nel governo il ministero della disabilità. C’è il ministero per la disabilità e c’è il caregiver, ma manca il “dopo di noi”; c’è il fondo per la non autosufficienza, ma manca la cifra; c’è l’inclusione scolastica e lavorativa, ma manca l’aumento delle pensioni d’invalidità; c’è la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, manca il Programma d’azione biennale. La disabilità insomma c’è, nel “contratto di governo” ormai praticamente definitivo, ma alcune questioni fondamentali restano fuori. E’ quel che si scopre scorrendo il testo ed è quanto hanno subito notato le due federazioni delle principali associazioni per la disabilità, Fish e Fand. Vincenzo Falabella, presidente nazionale della Fish: “Manca l’aumento di pensioni e indennità accompagnamento e il riferimento al Programma d’azione. Si tace sul Dopo di noi”. Franco Bettoni, presidente della Fand: “Il ministero è un importante segnale di attenzione, per il resto aiuteremo a completare”.
Immigrazione, il “contratto” spaventa le associazioni: “Ci aspettano tempi bui”. Riduzione dei flussi verso l’Italia puntando a una condivisione in chiave europea degli approdi e della gestione complessiva, trasparenza sui fondi destinati ai centri che accolgono i richiedenti asilo, meno risorse per l’accoglienza (da ricondurre alla gestione pubblica) e più fondi per il capitolo rimpatri, con la previsione in ogni regione di almeno una “sede di permanenza temporanea finalizzate al rimpatrio”, esternalizzazione delle frontiere, registro dei ministri del culto religioso, prediche in italiano, referendum consultivi in ogni regione prima di aprire una nuova moschea. Sono questi i punti chiave messi nero su bianco sull’ultima bozza del contratto di governo stipulato da Matteo Salvini, leader della Lega e Luigi Di Maio, a capo del Movimento cinque stelle.
Per Francesca Chiavacci, presidente dell’Arci, “l’impianto generale fa pensare che ci aspettano tempi bui”. Per Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas italiana e Caritas Europa, “non c’è nulla di nuovo sotto il cielo: tanti governi hanno promesso di aumentare i rimpatri ma nessuno riuscito a farlo perché è una strada non tecnicamente praticabile. Meno accoglienza più rimpatri, è uno slogan che non fa i conti con la realtà che stiamo vivendo”. Gianfranco Schiavone, vicepresidente Asgi, ricorda infine che la normativa italiana in materia di immigrazione è già “terribilmente rigida e ha sempre prodotto un numero enorme di irregolari, ma per rispondere a questo problema non si è mai messo mano alla legge ampliando i canali regolari di ingresso e regolarizzando i percorsi positivi di inclusione sociale e lavorativa degli stranieri. Al contrario ci si ostina a trovare come unica risposta un’espulsione impossibile…”.
Sul gioco d’azzardo il contratto di governo piace al terzo settore. Per Lega Nord e Movimento 5 Stelle il gioco d’azzardo è una questione di ordine pubblico. Nella bozza del “Contratto di governo” questo tema è inserito, infatti, nel capitolo dedicato alla “Sicurezza, legalità e forze dell’ordine”. Il governo giallo-verde si impegna a mettere paletti stretti e rigidi. Le misure ipotizzate sono: “divieto assoluto di pubblicità e sponsorizzazioni; trasparenza finanziaria per le società dell’azzardo; strategia d’uscita dal machines gambling (Slot machines, videolottery) e forti limitazioni alle forme di azzardo con puntate ripetute; obbligo all’utilizzo di una tessera personale per prevenire l’azzardo minorile; imposizione di limiti di spesa; tracciabilità dei flussi di denaro per contrastare l’evasione fiscale e le infiltrazioni mafiose”. Inoltre “è necessaria una migliore regolamentazione del fenomeno, prevedendo il rilascio dell’autorizzazione all’installazione delle slot machine – VLT solo in luoghi ben definiti”.
“Tutti punti condivisibili. Mancano però indicazioni sui fondi per la cura delle dipendenza da gioco”, commenta don Armando Zappolini, portavoce di Mettiamoci in gioco. E il sociologo Maurizio Fiasco aggiunge: “C’è un ribaltamento di prospettiva. Prima ogni misura di contrasto era limitata dall’esigenza di non intaccare l’introiti dello Stato. Qui non se ne fa nemmeno un accenno”.
Giustizia, la morsa del “contratto di governo” sull’esecuzione penale. “Per far fronte al ricorrente fenomeno del sovraffollamento degli istituti penitenziari e garantire condizioni di dignità per le persone detenute, è indispensabile dare attuazione ad un piano per l’edilizia penitenziaria che preveda la realizzazione di nuove strutture e l’ampliamento ed ammodernamento delle attuali”. Parte così, nell’ultima versione del programma di Governo Lega-M5S, la parte di ‘contratto’ dedicata all’esecuzione penale che riprende molti dei temi al centro della riforma Orlando, andando però nella direzione opposta.
In generale, oltre a più carceri contro il sovraffollamento, si prevede: modifica della sorveglianza dinamica, trasferimento nei paesi di origine per i detenuti stranieri, valorizzazione del lavoro e stretta sulle misure alternative. Il commento di Glauco Giostra, presidente della commissione ministeriale per la riforma dell’Ordinamento penitenziario e coordinatore del comitato scientifico degli Stati generali sull’esecuzione penale: “Serve un carcere migliore, non più capiente”. E sul destino della riforma: “Abbiamo una maggioranza parlamentare ciecamente ostile a questa riforma e un Governo in ordinaria amministrazione che difficilmente avrà la forza politica di emanare comunque la parte di riforma già passata al vaglio parlamentare, come sarebbe giuridicamente legittimato a fare”. (daiac)
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