Io che ero su quel palco, il palco dell’Anpi di Roma, a Porta San Paolo, lo posso dire con certezza. E’ stata una festa bellissima. Ci abbiamo messo orgoglio e spirito di appartenenza. I racconti, i canti, gli inni, le storie. Staffette, a passarci dunque il testimone con chi la Resistenza l’ha fatta, con i partigiani che malfermi sulle gambe sono saliti sul palco a dire ancora una volta che questa è la nostra festa e che a Roma, 74 anni fa, il cielo era ancora più terso. E che se le forze non mancassero verrebbe voglia di ballare. Lo ha detto con la voce rotta dall’emozione Stefano Cantalupi a rappresentare il popolo degli internati di guerra che Hitler non considerò neppure prigionieri di guerra. Una chiave da buttare e basta, 600mila, un esercito, dimenticato, negato.
Le storie. La storia, le voci.
Dalle 9 dietro e sopra quel palco, sotto un sole che pareva agosto, con Marina Pierlorenzi, Martina Becchimanzi, Gabriella Pandinu – le ragazze dell’Anpi di Roma – , le infaticabili, nel nome di Tina Costa che ci ha lasciato lo scorso 20 marzo, lei, proprio lei, staffetta partigiana lungo la Linea Gotica. Lei il motore che sapeva unire migranti e gay. Lei la consapevolezza, lei la cui voce è risuonata quando Nicola Alesini, compositore e sassofonista, ha chiuso la giornata con le note di Bella Ciao.
C’erano tutti quelli che dovevano esserci. Ed erano tanti. Tantissimi. Eravamo tantissimi. Siamo un fiume. Siamo marea dietro il solo striscione che quando passa, da Tor Marancia a Ostiense, la gente si affaccia alle finestre e applaude. “Partigiani” E dietro vecchi, bambini, ragazzi con le magliette con su scritto “Ribelli sempre”.
Siamo la meglio gioventù di Iole Mancini, partigiana, elegantissima e bella che con una giacca rossa e una rosa in mano ci indica ancora la strada. “Non mollate”, dice. Siamo Nando Cavaterra, gappista, che non si stanca di urlare che il Foro dedicato a Mussolini è una vergogna. Quando entra il corteo a mezzogiorno la piazza è una bolgia di sorrisi, una festa di striscioni, una apoteosi di abbracci. Eccoci. Contateci. Se vi riesce, per dissimulare la sorpresa, cercate pure il pelo nell’uovo di questa nostra infinita Primavera dedicata all’articolo Tre della Costituzione: senza distinzioni.
E senza distinzioni cantiamo, marciamo. E anche oggi, soprattutto oggi, ci troverete forti e uniti da far paura. Con il violino futuribile e meraviglioso di Her, i cori magnifici Balzani, Modigliani, i Quadracoro del Quadraro che con voce forte raccontano il rastrellamento infame del “Nido delle Vespe” da parte del boia, di Kappler, oltre 600 deportati. Ci troverete lungo la via Ostiense mentre la gente applaude, mentre Roberto e Chiara Becchimanzi leggono i testi di Erri De Luca e la Montagnola prende forma in un racconto di Resistenza detto a un migrante del Bangladesh. 53 morti. Il primo argine povero, disperato all’avanzata dei nazisti a Roma, settembre 1943. A difendere quel pezzo di frontiera i Granatieri di Sardegna, le donne e gli uomini del popolo, un fornaio, un prete, una suora. 53. Vi paressero pochi.
C’è, sopra e sotto il palco di Porta San Paolo il ritmo irrestitibile di Arte R-esistente, tamburi d’Africa e ragazze con i capelli che volano, il suono d’orchestra della Banda di Cecafumo in un crescendo di gioia. La gente che arriva, per ognuno una storia, un bacio, un fiore. E quando prende la parola Fabrizio De Sanctis dell’Anpi a ricordare anche il sacrificio della Brigata Ebraica arrivano solo applausi. Cercate il pelo nell’uovo. Non lo troverete. Non vi riuscirà la polemica, l’analisi sul fronte frastagliato della piazza. La piazza è immune alle cazzate. La piazza del 25 aprile a Roma è una muraglia. E ha una voce così identitaria e riconoscibile che davvero si fa fatica a capire come non ci sia più una coalizione compatta a rappresentarla.
Ha la voce, lo sguardo lungo, la lucidità politica e il cuore di Aldo Tortorella, classe 1926, che parla a braccio per 40 minuti davanti a una folla attenta, silenziosa, partecipe. Che lo applaude più e più volte. Lo riconosce. A un certo punto ci siamo riconosciuti, noialtri.
Questo centrosinistra timido, ricurvo, avvinghiato, confuso dovrebbe, potrebbe ripartire semplicemente da qui. Da quelli che sono i suoi valori fondanti. Da queste piazze che chiedono ascolto, mentre a qualcuno fa perfino paura, oramai, usare la parola “compagni”. Ma se non siamo compagni, se questa non è la strada nostra, condivisa, da dove si riparte in questa Italia di paura, divisioni, negazioni?
Guardateci negli occhi. Noi ci siamo. E oggi ve l’abbiamo detto. Anche oggi.