Il virologo: "La patente immunità è fantasia, ci saranno nuovi focolai e lockdown mirati"

Andrea Crisanti direttore del laboratorio di microbiologia e virologia dell'Università di Padova: "Avremo una serie di stop and go, quindi dobbiamo creare la capacità di intervenire"

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17 Aprile 2020 - 20.02


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 Anche se la curva epidemica tende ad appiattirsi e gli ospedali tirano un sospiro di sollievo, anche se arriveremo alla fase 2, auspicabilmente con una velocità di trasmissione sotto lo 0,5, il virus Sars-Cov-2 circola e ci dovremo convivere. E il professor Andrea Crisanti direttore del laboratorio di microbiologia e virologia dell`Università-azienda ospedaliera di Padova ci ha detto “come”, al netto delle speranze. Perché del vaccino non c’è ancora certezza. Crisanti è un virologo di esperienza internazionale, che prima di tornare a Padova ha lavorato anni all’Imperial College di Londra, e ha studiato il focolaio del Comune veneto di Vò Euganeo. Ecco il quadro che ci ha fatto del futuro, partendo da quello che ha appreso sul campo.

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“Avremo una serie di stop and go, quindi dobbiamo creare la capacità di intervenire. Per questo è stata importante l’esperienza fatta a Vò Euganeo, perché ci dà le coordinate per intervenire nel caso ci siano nuovi focolai. Non è stato solo un esperimento epidemiologico ma è stata anche un’esperienza importante per capire come si spengono i focolai. Noi ci dobbiamo aspettare in futuro tutta una serie di situazioni di stop and go, perché il fatto che ci saranno nuovi focolai è una certezza, più che una probabilità. Allora il problema è come ci attrezziamo per intervenire tempestivamente ed eliminare i focolai. Questa è la domanda che ci dobbiamo porre e siamo in grado già da adesso di cominciare a creare quella capacità di intervento”.

Per il virologo Crisanti “la capacità di intervento è direttamente legata a tre misure: 1) chiusura della zona dove c’è il focolaio; 2) analisi sistematica di tutte le persone, per verificare chi sono gli infetti e chi no, una prima volta. Passaggio da rifare una seconda volta, perché purtroppo qualcuno sempre sfugge alla prima o qualcuno viene infettato dopo. Il tampone dà una fotografia solo dello stato in quel momento e nessuna indicazione sul futuro, quindi va fatto due volte; 3) tracciabilità. Siccome non esisteranno più le misure di isolamento in senso stretto, cioè le persone in fase 2 saranno ritornate a muoversi, a lavorare, è chiaro che c’è bisogno di una tracciabilità elettronica dei contatti altrimenti non si ferma il contagio”. Queste sono “tre cose assolutamente legate l’una all’altra”, e così necessarie che il virologo sul tema della tracciabilità-privacy si chiede: “Mettiamo a disposizione del consenso di qualcuno la salute pubblica? Sulla scelta politica – spiega – non mi pronuncio. Io come tecnico la ritengo una misura imprescindibile, ovviamente non posso entrare nel merito delle scelte politiche. Ma dal punto di vista tecnico è fondamentale l’adesione di massa, se questa adesione non avviene il problema tecnico si trasforma in politico”.

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Quindi nel futuro ci saranno regioni, zone che come in un sistema a dighe, dovranno essere chiuse per combattere i focolai epidemici, “lockdown mirati con conseguenti limitazioni di spostamento di quei cittadini. Può essere legato a una zona, un quartiere, un paese, è imprevedibile dove un cluster possa partire, ma noi dobbiamo prevedere in quel caso la chiusura immediata della zona e la possibilità – che per Crisanti è altrettanto essenziale – di fare i tamponi a tutti coloro che sono all’interno del cluster”. “Quindi questo significa che durante la fase 2 dobbiamo drammaticamente aumentare la nostra capacità di fare diagnosi. E non con i test sierologici, perché è molto limitato nella diagnosi”.

Sui test sierologici Il virologo è tranchant anche su un altro versante: “Non se ne parla nemmeno del patentino immunologico, è un fantasia. Non ci sono le basi scientifiche, non esiste nessun dato scientifico che possa sostenerlo, non esiste nessuna prova che le persone che hanno anticorpi siano coperte e se lo sono non sappiano per quanto tempo, perché il livello di anticorpi cambia nel tempo, non c’è nessuna certezza . Questo è stato un elemento di grande confusione”. E “non è una cosa strana che l`immunità non riesca a proteggere sempre, basta pensare alle infezioni da herpes, ci si ammala in continuazione”. Quindi “prima di dire qualcosa dovremmo fare degli studi e non è assolutamente garantito che l’esposizione generi una immunità protettiva”.

Problemi anche sul vaccino? “L’idea di un vaccino chiaramente si poggia sull’assunto che l’immunità sia protettiva, forse sì, ma non è necessariamente detto. Sono speranze, ma se vogliamo essere ancorati alla realtà, al momento – ribadisce Crisanti – non esiste prova che l`immunità sia protettiva, non esiste prova che le persone che hanno anticorpi siano protette, e se lo sono ovviamente non si sa per quanto tempo”. Anzi il virologo fa notare che “l’unica cosa che sappiamo è che le persone possono rimanere ammalate e positive al virus per mesi e questa non è una buona notizia, perché in genere gli anticorpi vengono prodotti nelle prime 3-4 settimane e allora ci si pone la domanda: ma perché se gli anticorpi vengono prodotti normalmente durante le prime 3-4 settimane abbiamo persone che rimangono positive per 7-8 settimane? Iniziamo a porci le domande giuste, invece di alimentare speranze. Per avere le risposte giuste la prima cosa da fare è porsi la domanda giusta. Nella scienza la cosa più importante è la domanda da porsi”.

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Quindi “dovremmo fare uno studio specifico sull’immunità”. Al momento “i test immunologici sono un abuso della buona fede delle persone” mentre “per il vaccino aspettiamo a dire qualcosa”. Sembra impossibile da credere nel 2020 ma è così: “Ci sono malattie, infezioni di cui non ci liberiamo. Il sistema immune non sempre riesce ad eliminarle”. Come lo arginiamo allora? “Io spero con dei farmaci, come abbiamo fatto con l`Hiv. Per l`Hiv il vaccino non lo abbiamo, eppure i primi anni si parlava di vaccino per l`Hiv. Non lo abbiamo mai visto. Non necessariamente è possibile fare un vaccino contro tutto. La ricerca sui vaccini va fatta ovviamente, ma non ci sono elementi di grandissimo ottimismo, visto che ancora non sappiano qual è la riposta immunitaria”.

Si ritorna così alle tre misure iniziali per “spegnere i focolai”: lockdown mirati, tamponi a tappeto nelle zone dei cluster e tracciabilità di massa, con l’aiuto della tecnologia. Al momento sono le uniche cose certe che abbiamo, ma che possiamo efficacemente prepararci a fare.

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