Conte parla dell'estate e spiega che non vuole i "corridoi turistici": ecco di cosa si tratta

Sulle vacanze estive il premier avverte lʼEuropa: "Non accettiamo accordi bilaterali".

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14 Maggio 2020 - 08.20


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Gli spostamenti in Europa e la riapertura delle frontiere per motivi turistici rischiano di diventare un rebus. Il premier Giuseppe Conte ha detto chiaramente che l’Italia “non accetterà corridoi turistici differenziati” perché “saremmo fuori dall’Ue” e dunque “non lo permetteremmo mai”. L’Europa vorrebbe, dal canto suo, soluzioni comuni ma molti Paesi si stanno muovendo per riaprire le frontiere e a rischiare l’isolamento è proprio, assieme alla Spagna, l’Italia. 

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La posizione di Conte – “Non accettiamo accordi bilaterali che possano creare percorsi turistici privilegiati e io stesso nell’ultimo colloquio con la von der Leyen ho posto questo tema”: così il premier Conte si è espresso in merito alle ipotesi di rilancio del turismo a livello continentale che, secondo lui, deve prevedere regole comuni per salvare la stagione nonostante le restrizioni e le limitazioni imposte dalle norme anti-coronavirus. Il premier è contrario a corridoi perché “sarebbe la distruzione del mercato. Significherebbe che all’interno del’Ue un settore come il turismo possa essere determinato e condizionato da accordi bilaterali”. 

Le linee guida dell’Europa – E l’Europa cosa fa? La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen ha parlato di “soluzioni intelligenti” che consentano a tutti gli europei di salvare le ferie estive. Il turismo vale circa il 10% del Pil del Vecchio Continente, quantificabile in 1.400 miliardi. Ovvia dunque la necessità di studiare soluzioni che consentano di non annullare un’intera stagione. L’obiettivo principale dell’Europa è quello di non creare discriminazioni in base al Paese di provenienza. Per questo la Commissione ha creato un sito con una mappa interattiva che consenta ai viaggiatori di essere aggiornati sulla situazione del Paese in cui sono diretti. 

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Italia e Spagna a rischio isolamento – Il problema, però, è che su questo fronte molti Paesi si stanno muovendo in autonomia. Alcuni Stati sono pronti a riaprire le frontiere ma con alcune limitazioni e mantenendo alcune chiusure che rischiano di isolare soprattuto l’Italia e la Spagna, i due Paesi europei più colpiti dal coronavirus che poi sono anche, in estate, le mete più ambite per le vacanze. In questi due Paesi, infatti, restano, per ora, in vigore le restrizioni e gli avvisi di viaggio imposti dall’emergenza e dal lockdown. Insomma a Roma e Madrid permangono le restrizioni di viaggio.

Chi riapre le frontiere – La Germania e l’Austria, invece, sono pronte a riaprire le frontiere dal 15 maggio, d’accordo con Francia e Svizzera. E come spiegato dal ministro dell’Interno tedesco Seehofer, la premessa per poter riaprire i confini con Austria e Francia è rappresentata proprio dall’impegno a tenere chiuse, invece, quelle con l’Italia e la Spagna: “Sono Paesi molto colpiti dal coronavirus, è ancora presto per parlare di libera circolaizone”, ha detto. In ogni caso tedeschi e austriaci puntano a liberare in tempi rapidi i collegamenti con Svizzera e Repubblica Ceca. 

Anche Estonia, Lettonia e Lituania hanno intenzione di aprire le frontiere da metà maggio consentendo una libera circolazione al’interno degli Stati baltici. La Germania studia la possibilità di “aprirsi” anche alla Danimarca. La Svizzera, sempre dal 15 maggio, riapre a Germania, Francia e Austria.

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I corridoi turistici – Francia e Regno Unito ipotizzano un corridoio turistico che non richieda quarantene. Anche la Grecia vorrebbe creare corridoi con Austria, Bulgaria, Danimarca, Cipro, Norvegia, Germania e Repubblica Ceca. Lo stesso la Croazia (che vorrebbe aprire a Germania, Slovacchia, Austria e Repubblica Ceca). Malta ha chiesto corridoi con i Paesi che hanno gestito meglio l’emergenza (pur non avendo specificato quali).

Monitoraggi e valutazioni – In questo scenario, dunque, rischiano di rimanere tagliati fuori italiani e spagnoli. Per questo l’Ue vorrebbe che gli Stati decidessero gli spostamenti in modo non discriminatorio consentendo l’accesso a regioni o Paesi che hanno una situazione epidemiologica “simile” e in cui vi siano “capacità sufficienti in termini di ospedali, test, sorveglianza e monitoraggio dei contatti”. Insomma resterà centrale il tema del monitoraggio e della capacità di garantire  misure di prevenzione. Ma il rischio è che qualche Paese, magari anche perché meno colpito, sia più avanti e che altri, invece, restino indietro. 

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